Messa da parte l’introduzione della “dual tax” 15%-20% prevista nel contratto di Governo per tutti i contribuenti, gli esponenti dell’attuale Esecutivo hanno ripetutamente manifestato l’intenzione di introdurla nella prossima legge di bilancio soltanto per le partite IVA con fatturato fino a 100.000 euro con queste modalità:

  • ampliamento fino a 65.000 euro della soglia massima di fatturato che consente di avvalersi del “regime forfetario delle piccole partite IVA” con tassazione sostitutiva del reddito di impresa o lavoro autonomo al 15% (ridotta al 5% per le nuove attività nei primi cinque anni);
  • per chi supera la soglia di fatturato di 65.000 euro, ma non quella di 100.000 euro, applicazione di una tassazione sostitutiva del reddito di impresa o lavoro autonomo al 20%.

Di seguito, anche con l’ausilio di esempi numerici, cerchiamo di spiegare chi si può avvantaggiare dalla concreta attuazione in legge di bilancio di questo proposito, chi può viceversa risultarne penalizzato e quali possono essere gli effetti distorsivi, diretti e collaterali, di una misura che, come è stato sottolineato dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili in occasione dell’Audizione in Commissione Finanze dello scorso 13 settembre, è ben lungi dall’essere “universale” non solo rispetto alle categorie di contribuenti diverse dalle partite IVA (quali, ad esempio, dipendenti e pensionati), ma anche rispetto al mondo stesso delle partite IVA.

CHI SÌ E CHI NO

Il “regime forfetario delle piccole partite IVA” (detto anche impropriamente “regime dei minimi”) è stato introdotto dal Governo Renzi con l’art. 1 co. 54 e ss. della L. 190/2014 e consente alle partite IVA individuali, con fatturato non superiore a soglie massime differenziate a seconda del settore di attività (attualmente si va dai 30.000 euro per le attività professionali ai 50.000 euro per il commercio all’ingrosso e al dettaglio), di beneficiare:

  • di una tassazione del 15% (5% per le nuove attività nei primi 5 anni) sostitutiva dell’IRPEF e delle addizionali regionali e comunali applicata su un reddito di impresa o di lavoro autonomo determinato non già in base alla analitica contrapposizione tra ricavi o compensi e costi, bensì sul fatturato al netto di una percentuale predeterminata (che varia anch’essa a seconda del settore di attività) a titolo di deduzione forfetaria dei costi inerenti l’attività;
  • di significative semplificazioni negli adempimenti fiscali e di tenuta della contabilità (in pratica basta emettere e conservare le fatture di vendita senza IVA, calcolare a fine anno il reddito applicando la percentuale forfetaria di deduzione sul fatturato e versare a giugno l’imposta sostitutiva su di esso calcolata; niente registri, liquidazioni periodiche e dichiarazione annuale IVA, niente studi di settore, niente “spesometri” e obbligo di fatturazione elettronica);
  • della esclusione da IVA, con conseguente assenza dell’obbligo di addebitare l’imposta al cliente e del diritto di detrarsi l’IVA addebitata dai fornitori.

La soglia di fatturato per poter beneficiare del regime verrebbe alzata fino a 65.000 euro (e non direttamente fino a 100.000 euro) perché l’IVA è una imposta comunitaria e la possibilità per l’Italia di prevedere l’esclusione da IVA per soggetti di ridotte dimensioni è attualmente concessa dalla UE entro appunto il tetto massimo di 65.000 euro.

Per questo l’intenzione, manifestata dagli esponenti del Governo e dalle forze politiche di maggioranza che sostengono questa proposta, è quella di scindere tra partite IVA con fatturato fino a 65.000 euro cui rendere integralmente applicabile il regime forfetario e partite IVA con fatturato superiore, ma inferiore a 100.000 euro, cui rendere applicabile “solo” una tassazione sostitutiva del reddito al 20% invece che direttamente anche a loro il regime per intero, IVA compresa.

Attenzione però: la soglia di fatturato non è l’unico discrimine per potersi avvalere del predetto regime.

Infatti, le partite IVA individuali, oltre a non superare la soglia di fatturato prevista, devono anche:

  • non essere soci di soggetti collettivi che imputano per trasparenza i redditi ai soci (società di persone, associazioni professionali e srl trasparenti per opzione);
  • non essere titolari di redditi di lavoro dipendente e assimilati per oltre 30.000 euro, relativi a rapporti di lavoro in essere;
  • avere una organizzazione minima (beni strumentali per massimo 20.000 euro e spese annue per dipendenti o collaboratori per massimo 5.000 euro).

Quindi, esattamente come avviene attualmente, l’innalzamento della soglia di fatturato fino a 65.000 euro non significa che tutte le partite IVA con fatturato fino a 65.000 euro potranno avvalersi del regime forfetario; così come la previsione di un regime di tassazione sostitutiva al 20% per le partite IVA con fatturato compreso tra 65.000 euro e 100.000 euro non potrà applicarsi a tutte le partite IVA con un fatturato compreso in questo intervallo.

Se non verranno rimossi o almeno incrementati anche gli altri parametri, le partite IVA che rispettano la soglia di fatturato, ma sono socie di società di persone o associazioni professionali, oppure hanno una dotazione di beni strumentali eccedente 20.000 euro, oppure sostengono spese per dipendenti o collaboratori per più di 5.000 euro all’anno, saranno tagliate fuori dalla possibilità di accedere ai benefici in questione.

Attualmente sono 935.000 le partite IVA individuali che si sono avvalse del regime forfetario, su una platea di partite IVA totali di circa 2 milioni che ricadono nell’intervallo di fatturato da zero fino alle soglie massime previste (di queste, quasi 600.000 sono riconducibili alle attività professionali, scientifiche, tecniche, artistiche, sportive e sanitarie).

Nonostante siano poco più di 1 milione le partite IVA il cui fatturato ricade nell’intervallo compreso tra le soglie massime attuali e la nuova soglia di 100.000 euro, tutte le stime ufficiose parlano di circa 400-500mila partite IVA che potranno essere concretamente interessate da questo ampliamento (ossia circa la metà della platea potenziale in base al solo parametro del fatturato, esattamente come si verifica attualmente).

PIATTO RICCO…

Mentre con le soglie di fatturato attuali il risparmio fiscale, rispetto all’applicazione dell’ordinaria tassazione IRPEF, esiste, ma è decisamente contenuto (tanto che il vero e più significativo elemento di vantaggio del regime è rappresentato dalle rilevanti semplificazioni degli adempimenti e quindi anche dai conseguenti minori oneri amministrativi monetari e temporali ad esse connessi), con l’aumento della soglia di fatturato, fino a 65.000 euro e fino ad ulteriori 100.000 euro per la tassazione sostitutiva “flat” al 20%, il risparmio fiscale diventa estremamente significativo.

In corrispondenza di 50.000 euro di reddito:

  • la tassazione sostitutiva al 15% implica un prelievo di 7.500 euro (e quindi una disponibilità di reddito, al lordo dei contributi previdenziali, di 42.500);
  • la tassazione ordinaria IRPEF (aliquote progressive e addizionali) implica un prelievo di 12.520 euro (e quindi una disponibilità di reddito, al lordo dei contributi previdenziali, di 37.480 euro);
  • il risparmio fiscale è pertanto pari a 5.020 euro.

In corrispondenza di 75.000 euro di reddito:

  • la tassazione sostitutiva al 20% implica un prelievo di 15.000 euro (e quindi una disponibilità di reddito, al lordo dei contributi previdenziali, di 60.000);
  • la tassazione ordinaria IRPEF (aliquote progressive e addizionali) implica un prelievo di 26.920 euro (e quindi una disponibilità di reddito, al lordo dei contributi previdenziali, di 48.180 euro);
  • il risparmio fiscale è pertanto pari a 11.920 euro.

In corrispondenza di 100.000 euro di reddito:

  • la tassazione sostitutiva al 20% implica un prelievo di 20.000 euro (e quindi una disponibilità di reddito, al lordo dei contributi previdenziali, di 80.000);
  • la tassazione ordinaria IRPEF (aliquote progressive e addizionali) implica un prelievo di 38.170 euro (e quindi una disponibilità di reddito, al lordo dei contributi previdenziali, di 61.830 euro);
  • il risparmio fiscale è pertanto pari a 18.170 euro.

A parità di reddito imponibile dichiarato, si tratta di livelli differenti di prelievo fiscale assai pronunciati non solo tra partite IVA con redditi medio-alti e lavoratori dipendenti con redditi medio-alti, ma anche all’interno del comparto stesso delle partite IVA, tra coloro che, a parità di fatturato e di reddito, hanno i requisiti per poter accedere alla tassazione sostitutiva e quelli che non li hanno.

Gli “effetti diretti distorsivi” sono da questo punto di vista estremamente evidenti, perché, se un differente regime di prelievo fiscale tra redditi di lavoro dipendente e redditi di lavoro autonomo può trovare giustificazione nella volontà di incentivare l’iniziativa economica privata e nel diverso sistema di tutele che caratterizza i due comparti, assai più arduo è giustificare differenze di prelievo così significative (nell’ordine quasi del 50%) su redditi non soltanto della stessa entità, ma anche della stessa natura.

Un ulteriore aspetto che non va sottovalutato è il notevole “scalone fiscale” che si determina appena superata la soglia dei 100.000 euro di reddito, tale per cui diviene preferibile non fatturare di più se quel “di più” non consente di incrementare il reddito di almeno il 33,1% in più, ossia da portarlo ad almeno 133.100 euro.

Se infatti con 100.000 euro di reddito e un prelievo di 20.000 il netto che rimane è 80.000, per poter tornare allo stesso livello di netto con la tassazione ordinaria IRPEF è necessario conseguire un reddito di almeno 133.100 euro.

In pratica, per chi può beneficiare del regime sostitutivo, una volta raggiunti 100.000 euro di fatturato, aumentarlo ancora (dichiarandolo al Fisco in modo trasparente) diviene addirittura anti-economico dal punto di vista fiscale, a meno di poterlo aumentare in modo estremamente rilevante.

Che non si tratti di una ipotesi di scuola, ma di una questione vera, lo testimonia il fatto che, dati alla mano delle dichiarazioni fiscali presentate nel 2017 (ultimo disponibile), sono circa 150.000 le partite IVA individuali con un fatturato compreso tra 100.000 euro e 133.100 euro che diverrebbe fiscalmente antieconomico, in termini di reddito netto, rispetto al mantenimento del fatturato entro la soglia di 100.000.

… MI CI FICCO

Il “piatto ricco” in termini di risparmio fiscale che emerge dai numeri in precedenza esemplificati non può che determinare comportamenti finalizzati alla possibilità di rientrare nell’ambito di applicazione del regime di tassazione sostitutiva dei redditi di impresa e di lavoro autonomo delle partite IVA individuali.

Ciò significa che, se gli altri parametri per accedervi, diversi dal fatturato, non vengono eliminati o quanto meno significativamente incrementati, la concreta attuazione dell’intendimento del Governo è suscettibile di determinare in modo massiccio i seguenti “effetti collaterali distorsivi”:

  • una forte spinta alla disgregazione dei mercati professionali e più in generale del lavoro in forma associata, come conseguenza del fatto che essere soci di società di persone o associazioni professionali preclude l’accesso al regime sostitutivo;
  • l’interruzione di rapporti di lavoro dipendente e di collaborazione, oppure la loro continuazione “in nero”, per evitare di sforare il parametro legato alle spese annue sostenute a questo titolo dalla partita IVA individuale;
  • la tendenza a non lavorare ulteriormente (o quanto meno a non fatturare e dichiarare i relativi ricavi o compensi) una volta che si è prossimi alla soglia di 100.000 euro di fatturato.

Si tratta di “effetti collaterali distorsivi” non di poco conto, se si considera che la realtà produttiva italiana necessiterebbe di incentivi all’aggregazione professionale piuttosto che alla disgregazione, nonché di incentivi all’emersione del sommerso piuttosto che alla sua generazione sia sul lato dei costi di collaborazione che su quello del fatturato.

CONCLUSIONI

L’intenzione più volte manifestata dal Governo, di avviare dalle partite IVA il proprio programma di interventi di riduzione del prelievo fiscale sui redditi, è senza dubbio positiva, perché dimostra una giusta attenzione al tema del prelievo fiscale sul lavoro autonomo, escluso nel recente passato sia dagli interventi che hanno riguardato solo il comparto del lavoro dipendente, sia da quelli che hanno riguardato solo il comparto della media e grande impresa.

Ciò non di meno, la sua attuazione senza opportuni accorgimenti appare foriera di rilevanti effetti distorsivi sia diretti che collaterali.

In particolare, pare fuorviante la scelta di base di trasformare un regime concepito essenzialmente per assicurare significative semplificazioni negli adempimenti a soggetti di ridottissime dimensioni in un regime idoneo a selezionare le partite IVA che possono beneficiare di un regime sostitutivo che dimezza il prelievo fiscale sui redditi rispetto a quello ordinario.

Per le ragioni in precedenza evidenziate, laddove auspicabilmente il legislatore proceda alla concreta attuazione dell’apprezzabile intendimento politico di ridurre il carico fiscale sui redditi medio-alti di lavoro autonomo, vanno certamente rimosse le cause ostative rappresentate dalla partecipazione a società o associazioni professionali e quelle legate alla spesa per dipendenti e collaboratori.

In senso più radicale, andrebbe ripensata l’idea stessa di un allargamento dell’ambito di applicazione dell’attuale regime forfetario, lasciandolo alla funzione di strumento mirato di semplificazione per cui è stato creato, agendo direttamente sulle aliquote applicabili sul reddito di lavoro autonomo e di impresa per quanto attiene a diverso obiettivo della riduzione del prelievo fiscale.

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