Nel bel mezzo delle colline trevigiane, in una di quelle magiche vallate dove il Prosecco di Conegliano e Valdobbiadene, universalmente noto, viene prodotto nella sua variante piu? pregiata, chiamata Cartizze, si annida un vecchio casolare di pietra chiara, che sembra quasi mimetizzarsi con il paesaggio circostante.
Al piano terra, una piccola stanza di una dozzina di metri quadrati, con un focolare e un secchiaio rettangolare scavato nel sasso. Una tendina di cotone consunto protegge dalla polvere piatti, posate e bicchieri. In un angolo, un vecchio mini-frigorifero conserva acqua fresca e Prosecco; sul lato opposto, una vetrinetta, con soppresse e formaggi sottovuoto, pane e grissini. Su ogni cosa, un’etichetta che ne indica il valore.
A fianco dell’uscio, un libro per raccogliere le sensazioni degli ospiti e una cassetta per le offerte, come in chiesa quando si accendono le candele: nessun obbligo, nessun controllo, nessuno scontrino, tutto è lasciato al senso morale dei singoli, al loro rispetto, alla loro educazione, al loro desiderio di sentirsi parte di un certo tipo di società civile.
È l’Osteria senza Oste. O meglio, lo era, perché oggi è chiusa.
Allestita quasi per scherzo dal suo proprietario affinché i figli potessero ritrovarvisi con i loro amici, con il dovere morale (ed educativo) di rimettere tutto a posto e di riporre nel “salvadanaio” il necessario per riacquistare quanto consumavano, allargata poi agli amici e agli amici degli amici , nel tempo questa piccola oasi di pace è diventata una meta aperta a tutti coloro che avessero voglia di condividere il sogno che essa rappresentava. E sono arrivati in tanti, da tutte le parti del mondo. Una processione, quasi un pellegrinaggio. Sì, perché chi la raggiungeva lo faceva essenzialmente per il desiderio di poter dire a se stesso che in questo mondo, dove un Grande Oste Invisibile ci ha dato così tanto, lui ci poteva stare. Che era consapevole del valore delle cose che lo circondano, e che era pronto a fare la sua parte per essere tassello di una società civile dove le regole sono scritte dentro di noi. Fiducia nel prossimo, amicizia, solidarietà, amore per la natura e per le cose semplici, rispetto, onestà. Una meravigliosa utopia, che non per caso è nata nel nostro Paese. Un sogno nel quale si è ritrovata una moltitudine di persone, che lasciava commossa messaggi di ringraziamento. Poi è arrivata l’Agenzia delle Entrate. Attività abusiva, mancato rispetto delle norme sanitarie, ma soprattutto evasione fiscale: ricostruzione induttiva delle fette di soppressa e delle ombre di prosecco, con logiche da gestione commerciale pura, in un luogo dove un malintenzionato poteva non solo svuotare la mini-dispensa, ma addirittura portarsi a casa la cassetta delle offerte.
Ne è sorta una battaglia aspra, portata avanti a suon di ricorsi e appelli. Giusta? Ingiusta? Sotto il profilo del diritto tributario si pronunceranno i giudici: la questione non è poi così rilevante. Nel frattempo, l’Oste che non c’è ha deciso di chiudere. Il sogno è svanito, ci siamo risvegliati. L’utopia è destinata a restare tale e si affievoliscono sempre più le speranze di un mondo ove regnino i principi e i valori proposti dal Grande Oste Invisibile. Se e quando riaprirà il casolare di Valdobbiadene, vi troveremo con ogni probabilità regolari distributori automatici; ma la magia del luogo e le motivazioni che richiamavano a esso le persone, quelli saranno sparite per sempre. L’Agenzia delle Entrate avrà vinto. E il nostro sistema? Avrà vinto o avrà perso?

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