Garantire equità orizzontale tra lavoratori autonomi e dipendenti. E’ questo l’obiettivo di fondo cui secondo il Consiglio nazionale dei commercialisti dovrebbe tendere la riforma fiscale. Da questo punto di vista, secondo la categoria è tecnicamente condivisibile l’eventuale scelta di passare ad una curva di progressività costruita su “modello tedesco” da più parti prospettata in questi mesi, a patto che non si tratti di una mera “vestizione alla tedesca” di una progressività italiana che, nella sostanza, rimarrebbe ancorata alle sue logiche attuali, sia nei suoi profili di sviluppo “verticale”, tra contribuenti con livelli diversi di reddito imponibile, che in quelli di sviluppo “orizzontale”, tra contribuenti con lo stesso reddito imponibile, ma tipologie diverse di redditi che concorrono a formarlo. La posizione della categoria  è stata espressa oggi dai consiglieri nazionali , Gilberto Gelosa e Maurizio Postal nel corso dell’’audizione parlamentare sulla riforma dell’Irpef tenutasi presso le Commissioni riunite Finanze e Tesoro di Camera e Senato. Per i due rappresentanti della professione, che hanno illustrato anche il Rapporto della Commissione voluta dal Consiglio nazionale e coordinata da Carlo Cottarelli, “se la politica sceglierà invece di mantenere l’attuale sistema di progressività, l’alternativa al modello tedesco potrebbe essere rappresentata dal frazionamento in due l’attuale terzo scaglione e da un intervento sulle detrazioni, al fine di superare le criticità dell’attuale sistema di tassazione progressivo. Come quella legata al modello tedesco, anche questa seconda opzione darebbe risultati tangibili in termini di equiparazione della pressione fiscale tra lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti”.

Modello tedesco o frazionamento del terzo scaglione

Secondo i commercialisti l’attuale curva della progressività italiana evidenzia tre criticità principali. Innanzitutto in corrispondenza dei redditi bassi e medio-bassi (fino a 28.000 euro), ci sono differenze molto accentuate tra contribuenti con lo stesso ammontare di reddito imponibile, ma tipologie di redditi diversi che concorrono a formarlo (questione della c.d. “equità orizzontale”), dovuta all’effetto combinato di detrazioni decrescenti differenziate e, soprattutto, del bonus 100 euro.  In  corrispondenza poi dei redditi medi e medio-alti (da 28.000 a 75.000 euro), si rileva una crescita eccessivamente sostenuta dell’aliquota media effettiva, dovuta a una curva della progressività che, già in corrispondenza dei 28.000 euro di reddito imponibile, passa ad una aliquota marginale del 38%, con un salto di ben 11 punti percentuali dallo scaglione precedente, in un contesto in cui, parallelamente, continuano a decrescere rapidamente le detrazioni per redditi da lavoro e pensione, fino ad azzerarsi a 55.000 euro. In corrispondenza dei redditi molto elevati (oltre 500.000 euro), infine, le aliquote medie effettive divengono addirittura più favorevoli di quelle di altri Paesi (Germania) rispetto ai quali, fino a tale soglia, sussiste un rapporto inverso di “convenienza” tra le due curve, nel senso che fino a 500.000 euro di reddito imponibile l’aliquota media effettiva italiana è invece più elevata di quella tedesca. Secondo Gelosa e Postal “Il passaggio ad una curva della progressività su “modello tedesco” consentirebbe di superare tutte e tre queste criticità, perché si determinerebbe una curva della progressività unica per tutti i contribuenti anche in corrispondenza dei redditi bassi e medio- bassi, un riassorbimento della “gobba” da iper-progressività che affligge attualmente i redditi medi e medio-alti e il riequlibrio dell’“appiattimento” da ipo-progressività che contraddistingue attualmente i redditi molto elevati”.

L’ipotesi di lavoro proposta dai commercialisti è quella di sostituire le attuali curve della progressività italiana con una curva della progressività su “modello tedesco”, prevedendo un’aliquota “zero” fino a 8.170 euro (in Germania è “zero” fino a 9.408 euro), la quale si sviluppi poi in modo perfettamente parallelo all’attuale curva della progressività tedesca, mantenendo 2 punti percentuali di aliquota effettiva in più in corrispondenza di ciascun livello di reddito imponibile. Questa ipotesi di lavoro presenta un costo, in termini di minore gettito, che il Consiglio nazionale stima in un intorno di 8-10 miliardi, grazie anche al riassorbimento delle risorse attualmente impiegate per il bonus 100 euro a favore dei dipendenti e della c.d. “flat tax delle partite IVA individuali.

Laddove la scelta politica sia quella di permanere nell’attuale schema della progressività italiana,  Gelosa e Postal hanno spiegato che secondo i commercialisti  “dovrebbe essere prioritario agire sul terzo scaglione di reddito imponibile, ossia quello che va da 28.000 euro a 55.000 euro di reddito, su cui si applica attualmente l’aliquota del 38%, suddividendolo in due distinti scaglioni: il primo, da 28.000 euro a 40.000 euro, con applicazione dell’aliquota marginale del 32%, il secondo, da 40.000 euro a 55.000 euro, con applicazione dell’aliquota marginale del 38%”.

Equiparare la pressione fiscale tra lavoratori autonomi e dipendenti 

Nel corso dell’audizione i commercialisti hanno poi definito “prioritario il tema dell’equiparazione della pressione fiscale tra lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti”.  “Un tema sempre più delicato – hanno affermato Gelosa e Postal – è quello dell’equità orizzontale della progressività, ossia quella tra redditi di tipo diverso, ma di ammontare uguale. La curva della progressività, data da aliquote marginali, scaglioni e detrazioni decrescenti per redditi da lavoro, deve essere unica per tutti i contribuenti titolari di redditi da lavoro. A monte o a valle dell’unica curva della progressività, è corretto prevedere un meccanismo forfetario che consenta di tenere conto delle spese per la produzione del reddito che i lavoratori dipendenti sostengono (a differenza dei pensionati) senza possibilità di deduzione analitica dal reddito (a differenza dei lavoratori autonomi).  L’equità orizzontale all’interno del perimetro “redditi da lavoro” impone anche di allineare i lavoratori autonomi ai lavoratori dipendenti sul versante della concorrenza dei redditi da lavoro alla formazione del reddito complessivo”. Secondo gli esponenti dei commercialisti “deve essere previsto anche per i lavoratori autonomi, così come per i lavoratori dipendenti, che alla formazione del reddito complessivo concorre il reddito imponibile da lavoro, ossia il reddito lordo al netto dei contributi previdenziali obbligatori a carico del lavoratore.L’attuale differente modalità di computo dei redditi da lavoro nel reddito complessivo crea ingiustificate disparità di trattamento, a parità di reddito imponibile, posto che le detrazioni decrescenti sono commisurate al livello del reddito complessivo e non del reddito imponibile”.

Sempre in un’ottica di equità orizzontale, Gelosa e Postal hanno affermato che  “dovrebbe essere consentita la tassazione dei redditi di impresa e lavoro autonomo prodotti in forma associata secondo modalità analoghe a quelli prodotti dalle società di capitali, con applicazione di una aliquota flat parificata a quella dell’IRES e successiva “tassazione a saldo” in occasione della distribuzione dei redditi agli associati”.

La proposta Gusmeroli – Marattin più semplice della Cash flow tax

Altro tema toccato dai due esponenti della categoria è quello della proposta Gusmeroli – Marattin in tema di liquidazione delle imposte dirette dei lavoratori autonomi. Una proposta, quella dei due parlamentari, che ai commercialisti “sembra essere più semplice e meno rischiosa sul piano giuridico della liquidazione mensile proposta dall’Agenzia delle Entrate nell’ambito della cash flow tax”.  Gli onorevoli Alberto Gusmeroli e Luigi Marattin propongono di “adottare per i lavoratori autonomi, le imprese individuali, le società di persone e le società di capitali, soggetti a parametri e agli ISA e ai soggetti in regime forfettario, un sistema semplificato di liquidazione delle imposte, che, pur mantenendo il criterio attuale di competenza o cassa nella determinazione della base imponibile, abbandoni il sistema del saldo e dell’acconto previsionale oggi concentrato in due soli momenti: giugno/luglio e novembre”.

“Valutiamo positivamente questo possibile nuovo impianto delle modalità di liquidazione delle imposte dirette – hanno spiegato i due consiglieri nazionali dei commercialisti – innanzitutto perché garantisce ai contribuenti un più ampio periodo di dilazione dei versamenti delle imposte dovute a saldo e in acconto. Ed infatti, oltre al mese aggiuntivo (dicembre) riconosciuto per i versamenti del saldo e del primo acconto, la proposta prevede anche la dilazione del versamento del secondo acconto (attualmente dovuto in un’unica soluzione entro novembre), in sei rate mensili da gennaio a giugno dell’anno successivo a quello relativo all’acconto stesso”. Altro aspetto di “assoluta rilevanza della proposta – continuano i rappresentanti dei commercialisti –  che peraltro recepisce, sul punto, l’analoga richiesta già da noi avanzata,  attiene all’abolizione della ritenuta d’acconto, con effetti positivi anche in termini di semplificazione degli adempimenti a carico dei sostituti d’imposta”.
Ovviamente, anche con il nuovo sistema, dovrebbe essere confermata la facoltà di determinare gli acconti in base al metodo previsionale, per evitare l’insorgere di eccedenze a credito nei periodi in cui l’imponibile si riduce rispetto a quello del periodo d’imposta precedente”.

Unico aspetto da valutare con attenzione, secondo Gelosa e Postal, riguarda le ricadute sul gettito derivanti dallo slittamento dei versamenti relativi al secondo acconto all’anno successivo a quello di sua “competenza” temporale. “Si dovrebbero individuare – hanno concluso – le risorse aggiuntive necessarie per coprire la riduzione di gettito provocata dal predetto slittamento all’anno successivo del secondo acconto e dalla contestuale abolizione delle ritenute d’acconto. Si tratta di un deficit temporaneo di cassa che si presenta nel solo primo anno di applicazione del nuovo sistema (l’abolizione delle ritenute d’acconto verrà compensata infatti dall’incremento dei saldi e degli acconti versati nell’anno successivo), per il quale si dovranno individuare le idonee ipotesi di copertura. A quest’ultimo fine, si possono prevedere dei meccanismi per assorbire tale fabbisogno, come ad esempio il ricalcolo degli acconti dovuti nel primo anno di applicazione delle nuove regole, senza tener conto delle ritenute d’acconto subite nell’anno precedente.

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