Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha approvato il documento “Principi consolidati per la redazione dei modelli organizzativi e l’attività dell’organismo di vigilanza e prospettive di revisione del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231”, redatto congiuntamente ad ABI, Consiglio Nazionale Forense e Confindustria.

Valorizzando le esperienze dei diversi soggetti firmatari, il documento individua una serie di principi di alto livello per la predisposizione dei Modelli organizzativi ex D.Lgs. 231/2001 e lo svolgimento delle funzioni degli Organismi di Vigilanza. Completano il lavoro alcune proposte di modifica alla normativa oggi vigente.

Il documento, posto in pubblica consultazione fino al 24 gennaio 2019, è consultabile sul sito web del Consiglio nazionale ed è possibile formulare commenti ed osservazioni entro la data indicata al seguente indirizzo consultazione@commercialisti.it.

Pubblichiamo l’introduzione al documento a cura del Gruppo di Lavoro multidisciplinare sulla normativa relativa all’organismo di vigilanza

 

Il D.Lgs. 231/2001 ha introdotto nell’ordinamento italiano un regime di responsabilità a carico delle persone giuridiche per la commissione di una serie di reati da parte dei soggetti apicali o dei dipendenti, con conseguenze rilevanti anche sugli stessi enti, potenzialmente assoggettabili a sanzioni amministrative pecuniarie anche molto onerose e, in taluni casi, interdittive.

L’impianto normativo, nato sulla scia di una tendenza internazionale diretta alla prevenzione e repressione della c.d. corporate criminality, è teso a stimolare la creazione di una struttura di corporate governance e di meccanismi di controllo che consentano alle imprese di mitigare il rischio di commissione degli illeciti previsti. Gli enti, infatti, possono essere esonerati dalla responsabilità prevista dal Decreto – evitando l’applicazione delle sanzioni – qualora dimostrino di aver adottato ed efficacemente attuato “modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire la commissione di reati della stessa specie di quello verificatosi”.

La riforma del diritto societario del 2003[1]: ha elevato i principi di corretta amministrazione a clausola generale di comportamento degli amministratori (prima valevole solo per le società quotate): lo si rileva dall’obbligo specifico di vigilanza sul rispetto di tali principi in capo al collegio sindacale (art.2403 c.c.)  e al consiglio di sorveglianza (art.2409-terdecies.  comma 1, lett.c). La stessa riforma ha elevato il format degli “adeguati assetti organizzativi” (artt.2381 e 2403 c.c.) a canone necessario di organizzazione interna dell’impresa, sul piano gestionale – amministrativo – contabile quale:

  • strumento fondamentale di tracciabilità dei processi;
  • criterio di valutazione di responsabilità di amministratori, dirigenti, organi preposti al controllo.

Le tecniche aziendalistiche escono quindi dalla sfera della best practice riferibile alle regole della organizzazione aziendale[2] ed assurgono a regola generale di diritto comune.

In tema di adeguati assetti organizzativi, si può oggi affermare che i Modelli Organizzativi ex D.lgs 231/2001 sono ormai ascritti sistematicamente a quelle norme del diritto societario (ed in particolare al terzo ed al quinto comma dell’art. 2381 c.c. ed all’art. 2403 c.c.) che sanciscono il principio di “adeguatezza nel governo societario”.

A conferma di ciò si pone la politica di molte Pubbliche Amministrazioni ed Enti Locali che richiedono l’adozione di “modelli 231” quale condicio sine qua non per coloro che intendono convenzionarsi o addivenire alla contrattazione con le stesse. Vi è dunque una evidente tendenza delle Istituzioni a rendere l’adozione del modello 231, di fatto, un requisito indispensabile per l’accesso delle aziende al mercato. Tale tendenza è ulteriormente rafforzata, dall’applicazione della normativa anticorruzione (L. 190/2012). Tutta la disciplina «anticorruzione», così come il conseguente intervento regolamentare e sanzionatorio dell’ANAC, si inseriscono nella prospettiva della «prevenzione mediante organizzazione».

D’altra parte, non può non evidenziarsi che anche nel settore privato la corporate social responsibility, soprattutto nei gruppi multinazionali, induce sempre più all’assunzione di Codici etici di gruppo e ai compliance programs per le singole società. In tale ambito sta diventando sempre più centrale il tema del «danno reputazionale». Sta, così, gradualmente diventando un sostanziale connotato di obbligo a carico di società ed enti dotarsi di un adeguato assetto organizzativo, idoneo ad evitare la commissione, da parte dei loro amministratori e sottoposti, di reati suscettibili di arrecare danno ai terzi.

Il D.Lgs. 231/2001 introduce una tecnica di controllo della criminalità di impresa del tutto nuova, che affida all’organo giudicante una valutazione dell’adeguatezza organizzativa dell’ente.

Si evidenzia che anche gli enti la cui attività non sia ancora espressamente vincolata alla conformazione alla norma, possano oggi trovare stimolanti motivazioni nelle pronunce della giurisprudenza di merito, la quale, ha già avuto modo di esprimersi ritenendo la sussistenza di uno specifico dovere in capo all’amministratore alla attivazione di quanto disposto dal D.Lgs 231/2001[3].

Nel corso degli anni, tuttavia, non poche criticità sono emerse nell’interpretazione e nell’applicazione della normativa, soprattutto in relazione alle numerose pronunce giurisprudenziali, che soltanto in pochissimi casi hanno effettivamente riconosciuto una valenza esimente ai modelli organizzativi adottati, evitando la comminazione di sanzioni a carico delle società coinvolte nei procedimenti giudiziari. Un simile trend non ha consentito la diffusione di un approccio pro-attivo nei confronti della normativa e dell’adozione dei modelli da parte delle imprese, che in molte circostanze hanno “vissuto” la conformità al Decreto come un aggravio di oneri non associati ad alcun concreto beneficio. Tale aspetto deve essere considerato alla luce di un altro rilevante profilo di criticità ad esso strettamente connesso, vale a dire la sostanziale inversione dell’onere della prova prevista in alcune circostanze dal D.Lgs. 231/2001, che rischia di costituire un vulnus per l’intero impianto normativo.

Per una maggiore diffusione di una cultura d’impresa che accolga in maniera positiva gli obiettivi di rafforzamento dei meccanismi di corporate governance e gestione dei rischi, oltre che di promozione di logiche gestionali che tengano conto delle sempre più impellenti esigenze connesse alla corporate social responsibility (si ricordi il legame creato tra questa ultima tematica e il D.Lgs. 231/2001 attraverso la Dichiarazione non Finanziaria introdotta con il D.Lgs. 254/2016), è necessario dunque agire in più direzioni: se, da un lato, emerge con sempre maggiore urgenza il tema di modifiche degli aspetti “procedurali” della normativa, dall’altro è opportuno che il Legislatore preveda meccanismi premiali e assicuri maggiore chiarezza delle regole, così da stimolare la diffusione – soprattutto nelle imprese di minori dimensioni – della cultura dei controlli e della prevenzione dai rischi, anche attraverso l’adozione dei Modelli organizzativi previsti dal Decreto.

Un ulteriore profilo di criticità emerso nel corso degli anni riguarda l’Organismo di Vigilanza, in relazione alla sua composizione, ai requisiti da rispettare, ai rapporti con gli altri organi di controllo e alle ulteriori funzioni che, in base ad alcuni recenti provvedimenti regolamentari, possono essergli assegnati.

***

Il presente documento rappresenta una prosecuzione ideale di un percorso, avviato da qualche tempo dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e dalla Fondazione Nazionale Commercialisti, che in passato hanno già esaminato alcune delle tematiche esposte, nato proprio dall’esigenza di offrire una risposta di categoria alle istanze dei molti colleghi che sono impegnati in questa area sia come consulenti, sia come componenti di collegi sindacali e di organismi di vigilanza, sia infine come consulenti tecnici nella valutazione di idoneità dei modelli organizzativi in sede giudiziaria.

Il lavoro, tuttavia, intende fare luce sulle problematiche esposte adottando un approccio costruttivo e più ampio, testimoniato dalla volontà del CNDCEC di aprirsi a collaborazioni con organizzazioni esterne (ABI, Confindustria, Consiglio Nazionale Forense)[4], attraverso la creazione di un Gruppo di Lavoro interdisciplinare. Il coinvolgimento di diversi stakeholders attribuisce maggiore autorevolezza alle indicazioni e ai principi contenuti nel presente elaborato,  che, valorizzando le esperienze e le sensibilità delle diverse componenti del Gruppo, si colloca su un piano di analisi più alto di quello fatto proprio dalle Linee Guida e dai principi tempo per tempo diffusi da ciascuna delle citate organizzazioni, Linee Guida e principi la cui perdurante valenza nei confronti dei soggetti che ne sono destinatari rappresenta il presupposto fondante di questa collaborazione.

Attraverso un approccio comune e una fruttuosa convergenza di interessi tra i vari soggetti coinvolti, infatti, il documento fornisce spunti importanti per la definizione di principi da seguire per la predisposizione dei Modelli organizzativi ex D.Lgs. 231/2001 da parte delle imprese, per l’individuazione di norme di comportamento dei componenti degli Organismi di Vigilanza e per l’elaborazione di alcune proposte di modifiche normative in relazione alle maggiori criticità emerse.

 

[1] In particolare, vedasi artt. 2381, 2403, 2403-bis,2409-terdecies c.c.

[2] Che, in precedenza poteva – al più –  trovare rilievo giuridico attraverso la clausola generale della diligenza (art. 1176 c.c., cosiddetta diligenza del buon padre di famiglia).

[3] Ad esempio, il Tribunale di Milano, con la sentenza del 13 febbraio 2008, n. 1774, ha ravvisato la sussistenza di una responsabilità per inadeguata attività amministrativa legittimante un’azione di responsabilità ex art. 2392 c.c. ed ha, per l’effetto, riconosciuto l’insorgenza dell’obbligazione risarcitoria in capo al medesimo.

[4] Si ricordano al riguardo i Protocolli d’intesa sottoscritti nel 2017 tra il CNDCEC e le altre Associazioni facenti parte del Gruppo di lavoro, attraverso i quali è stata promossa la costituzione di Tavoli su tematiche di comune interesse, tra cui certamente rientra la materia 231.

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