“Giusta l’introduzione di contromisure correttive finalizzate a rendere nuovamente ammissibili le dimissioni per “fatti concludenti”, al fine di contrastare la cattiva pratica dell’assenteismo programmato per ottenere il licenziamento dal proprio datore di lavoro e, conseguentemente, il trattamento NASPI. Ma, pur apprezzando l’intenzione dell’intervento, la formulazione dell’art. 9 del DDL mostra criticità evidenti circa la scelta degli elementi integranti la nuova fattispecie di dimissioni volontarie”. È una delle osservazioni contenute nel documento presentato oggi dal Consiglio nazionale dei commercialisti nel corso dell’audizione parlamentare sul Disegno di legge C. 1532-bis recante disposizioni in materia di lavoro, tenutasi presso l’XI Commissione permanente lavoro pubblico e privato della Camera. Per i commercialisti, rappresentati dai due consiglieri nazionali delegati alla materia, Marina Andreatta e Aldo Campo, “la sola assenza ingiustificata protratta per oltre cinque giorni o oltre il termine previsto dal contratto collettivo non si ritiene assurga a elemento sufficiente a configurare la risoluzione del rapporto di lavoro con imputazione al lavoratore dimissionario. Il comportamento/inadempimento qualificante la fattispecie delle dimissioni dovrebbe configurarsi in modo decisamente più rigoroso, anche al fine di evitare la proliferazione di un pericoloso contezioso per gli stessi datori di lavoro. Lo schema giuridico dovrebbe ricalcare quello già teorizzato in passato dalla dottrina e accolto dalla giurisprudenza delle dimissioni per fatti concludenti”.
Sempre in materia di dimissioni volontarie i commercialisti hanno ricordato come il decreto legislativo n.151 del 2015, prevede che le dimissioni del lavoratore subordinato debbano essere presentate mediante apposita procedura telematica e che la trasmissione dei relativi moduli al Ministero del lavoro e delle politiche sociali possa avvenire anche per il tramite dei patronati, delle organizzazioni sindacali, dei consulenti del lavoro, delle sedi territoriali dell’Ispettorato nazionale del lavoro nonché degli enti bilaterali e delle commissioni di certificazione di cui all’art.76 del d.lgs. 276/2003, senza attribuire le medesime prerogative ai dottori commercialisti ed agli esperti contabili, pure a fronte delle prerogative ad essi attribuite dalla legge n. 12/1979.
“Le disposizioni normative in materia di consulenza del lavoro e amministrazione del personale – hanno affermato Andreatta e Campo – pongono i commercialisti sullo stesso piano dei consulenti del lavoro e dunque appare incomprensibile e ingiustificata una diversa attribuzione di competenze. Il DDL oggetto di audizione, intervenendo sulla disciplina normativa in materia di dimissioni, rappresenta l’occasione opportuna per rimediare alla grave disparità di trattamento tra categorie professionali egualmente abilitate dalla legge”.
La categoria si è espressa anche sulla disciplina in materia di somministrazione di lavoro, chiedendo la soppressione dell’emendamento che, in sostanza, stabilisce che “un’impresa utilizzatrice potrà ricorrere senza limiti alla somministrazione di lavoratori, sia a tempo determinato sia a tempo indeterminato, per il sol fatto che il lavoratore somministrato sia assunto dal somministratore con contratto a tempo indeterminato”. “Si tratta – hanno affermato Andreatta e Campo – di un provvedimento che si inserisce nel solco delle misure che perseguono lo scopo di separare il lavoro dall’impresa che lo utilizza con un evidente rischio di deresponsabilizzazione dell’imprenditore verso i lavoratori che producono per lui ma che formalmente non sono suoi dipendenti. Inoltre, l’estensione indiscriminata delle possibilità di somministrazione, accompagnata al “beneficio” del non computo del lavoratore somministrato nell’organico del soggetto utilizzatore, contribuisce alla precarizzazione dei rapporti di lavoro, privando di diritti il lavoratore e alterando la normale dialettica individuale e collettiva”.
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