“La riforma della Legge fallimentare è stato il frutto di un serrato confronto tecnico durato anni, che ha individuato nell’introduzione delle misure d’allerta uno dei cardini del nuovo codice della crisi d’impresa, assegnando giustamente ai controlli la funzione determinante di prevenzione dei rischi, per una emersione tempestiva della crisi. Sono ora in campo su questa materia diversi emendamenti al decreto crescita, uno dei quali, alzando oltremisura i parametri di attivo, ricavi e dipendenti superati i quali scatta il vincolo di previsione del sindaco o del revisore, produrrebbe il sicuro effetto di ridimensionare in maniera sostanziale l’adozione del controllo interno. Ci troveremmo di fronte al paradossale svuotamento di fatto della previsione più innovativa della riforma, quale l’introduzione delle misure di allerta e dunque allo snaturamento di una riforma peraltro di recentissima approvazione”. E’ quanto afferma il presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Massimo Miani, in riferimento ad un emendamento dell’Onorevole Comaroli che prevede l’innalzamento dei parametri oltre i quali è previsto il ricorso ai controlli interni a 6 milioni di totale dell’attivo dello stato patrimoniale (dagli attuali 2), 12 milioni di ricavi (dagli attuali 2) e 50 dipendenti (dagli attuali 10).
“Se si vuole dare risposta alla preoccupazione relativa ai costi che le società dovranno sostenere per i controlli interni – prosegue Miani – ci sembra molto più equilibrata la soluzione prospettata dall’emendamento a firma Gusmeroli, Andreuzza, Bordonali, Binelli, Dara, Cavandoli, Covolo, Ferrari, Gerardi, Pagano, Paternoster e Tarantino che fissa le soglie per l’introduzione di sindaco o revisore a 4 milioni di attivo, 4 milioni di ricavi e 20 dipendenti. Potrebbe essere questa una soluzione di compromesso accettabile, che tiene conto dei timori presenti tra le imprese tutelando al contempo ratio e finalità di una riforma storica”.
E sempre a proposito di crisi d’impresa, e nello specifico sulla stesura degli indici da allerta ai quali sta lavorando, il Consiglio nazionale sottolinea come “non si può più procedere, come sta invece accadendo da anni, in modo estemporaneo e senza coinvolgere in alcun modo gli operatori del settore sui quali quelle stesse norme vanno ad incidere. Noi lavoriamo con il solo obiettivo di essere “utili al Paese”. Sugli indicatori, afferma il CNDCEC “stiamo lavorando nella piena consapevolezza della delicatezza di tale compito e con la certezza di farlo nell’interesse primario del sistema e quindi anche delle imprese che il codice non devono “subirlo”, ma usarlo da riferimento e da scudo”.
“Il codice della crisi – spiegano i commercialisti – all’art. 14 prevede che la segnalazione dello stato di crisi da parte dell’organo di controllo e del revisore debba essere effettuata solo in presenza di fondati indizi e che sia motivata. Fondati indizi che, come da espressa previsione dell’art. 2 lett. a), attengono alla manifestazione dell’inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate. Va chiarito che non per tutti gli stadi di crisi ricorre l’obbligo di segnalazione, ma solo per quelli che presentano la rilevanza prevista dal comma 1 dell’art. 13. Le altre situazioni potranno essere ancora gestite dall’organo amministrativo internamente all’impresa, senza il coinvolgimento dell’OCRI e senza l’obbligo di attivare una procedura concorsuale né la presenza del professionista indipendente che attesta l’adeguatezza dei risultati degli indici in rapporto alla specificità dell’impresa previsti dall’ultimo comma dell’art.13”.
“Proprio il comma 1 dell’art. 13 – proseguono i commercialisti – individua, infatti, il discrimine nella incapacità dell’impresa di sostenere il proprio debito nei successivi sei mesi, oltre che nella presenza di ritardi nei pagamenti reiterati e significativi, anche sulla base di quanto previsto nell’articolo 24. Il segnale che deriva dall’applicazione degli indici di allerta che il CNDCEC è chiamato ad individuare ai sensi del co. 2 dell’art. 13, costituisce un indizio del quale l’organo di controllo dovrà valutare la fondatezza alla luce degli altri indicatori dello stato di crisi di cui al precedentemente citato art.13 comma 1”.
“In accordo con la dottrina – proseguono – il CNDCEC ha verificato, attraverso specifici test condotti con CERVED, che qualsiasi indice, comunque costruito, comporta inevitabilmente un certo numero di falsi segnali, sia positivi, in assenza di uno stato di crisi che presenti la rilevanza di cui al co. 1 dell’art. 13, sia negativi, in termini di incapacità di intercettare uno stato di crisi rilevante. Il CNDCEC, consapevole dei limiti della analisi previsionale, sta elaborando gli indici ponendo estrema cura di evitare impatti sistemici generati da falsi positivi, ripromettendosi, al fine di assicurare una opportuna gradualità nella introduzione del sistema dell’allerta, di ampliare la selezione alla prima periodica revisione degli indici”.
“Gli imprenditori, gli organi di controllo ed i revisori – concludono – dovranno leggere tali indici come meri indizi comunque da suffragare con la valutazione della sostenibilità del debito a sei mesi o la presenza di reiterati e significativi ritardi nei pagamenti, ma nell’ambito di queste analisi e della tempistica necessaria sarà assolutamente fondamentale l’individuazione di un discrimine oggettivo per riconoscere l’esonero della responsabilità dell’organo di controllo, nonché per la spettanza delle misure premiali”.
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