Nel 2021 i commercialisti italiani hanno superato per la prima volta la soglia delle 120 mila unità, arrivando a 120.269 iscritti totali. La crescita annuale è stata dello 0,8% (+1,2% al Nord e +0,6% al Sud). È proseguita, per il secondo anno consecutivo, anche la crescita degli iscritti al Registro praticanti (+7,9%) che hanno così sfiorato la cifra di 14 mila unità. La crescita dell’albo è stata spinta, in particolare, dagli iscritti nella sezione B, ossia gli esperti contabili (+14,1%), mentre la sezione A, riservata ai commercialisti, ha fatto registrare una crescita dello 0,6%. Molto positivo l’andamento delle Società tra professionisti (STP) che hanno oltrepassato le 1.400 unità (+19,4%), con un incremento molto forte al Sud (+24,7%). Infine, si registra anche la crescita dei redditi medi professionali, saliti dell’1,1% in termini nominali, pari allo -0,8% in termini reali. Rispetto al 2007, il reddito professionale netto medio è aumentato del 4,1%, mentre in termini reali, cioè al netto dell’inflazione, è diminuito del 10,4%. È la radiografia della categoria che emerge dal Rapporto annuale sulla professione realizzato dalla Fondazione nazionale dei commercialisti.

I REDDITI

Il reddito professionale netto medio dei commercialisti nel 2021 è aumentato nonostante la pandemia. Il tasso di crescita annuale è stato dell’1,1% e il valore medio si è portato a 62.282 euro. Il reddito mediano, invece, è cresciuto dello 0,8% portandosi a 35.530 euro pari al 57% di quello medio e perdendo terreno rispetto al 57,6% di un anno prima. Il reddito medio cresce a Sud (+2,1%), mentre cala a Nord (-0,1%). Anche il reddito mediano cresce al Sud (+1,8%) e cala, invece, al Nord (-0,6%).

 DONNE E GIOVANI

Nel 2021 le donne sono state il 34,7% del totale degli iscritti, mentre i giovani (under  40) sono pari al 17,6%. La presenza di donne negli Ordini territoriali dei commercialisti è piuttosto variabile e tende ad essere più elevata negli Ordini del Nord. In particolare, nel Nord-est raggiunge il 38,1% con una punta del 42,6% in Emilia-Romagna. Nel Sud la quota di donne scende al 31,5% con il valore più basso in Campania (27,4%). Analogamente, anche per i giovani, nel Nord, si registrano livelli più elevati (20,6%) rispetto al Sud (14,9%). Da segnalare come la quota di donne continui ad aumentare di anno in anno (+1,4%), mentre quella dei giovani tende a diminuire progressivamente.

GLI ABILITATI ALL’ESAME DI STATO 

Secondo la Fondazione, questi dati confermano il carattere anticiclico della professione di commercialista. Nei momenti di crisi, i commercialisti sono chiamati ad uno sforzo maggiore. E durante la pandemia questo sforzo è stato eccezionale. Ciononostante, il trend generale è verso un rallentamento della crescita che, la Fondazione nazionale non esclude  nei prossimi anni possa tradursi in un tasso negativo.

Il dato più allarmante riguarda gli abilitati all’esame di stato di dottore commercialista e di esperto contabile: –61% dal 2008 al 2019, da 4.309 a 1.692.  Si tratta di un dato direttamente collegato al calo dei praticanti in atto da molto tempo. Al netto di una leggera ripresa negli ultimi due anni, i praticanti si sono quasi dimezzati dal 2009 al 2019: da circa 2 praticanti e mezzo per ogni 10 iscritti a un praticante per ogni 10 iscritti. Del resto, la dinamica del mercato continua ad essere sfavorevole alla categoria dei commercialisti.

IL RAPPORTO TRA ISCRITTI, POPOLAZIONE E IMPRESE

I trend di lungo periodo, sintetizzati nel rapporto tra la popolazione italiana e le imprese, da un lato, e gli iscritti all’albo, dall’altro, si traducono in un abbattimento drastico del mercato potenziale. Il rapporto teorico tra gli abitanti e gli iscritti è passato da 549 del 2007 a 490 del 2021 con una perdita secca di 59 abitanti per ogni Commercialista. L’altro rapporto, quello con le imprese, è passato, nello stesso periodo, da 48 a 43, con un taglio di 5 unità per ognuno. Le conseguenze negative di questa analisi si riflettono nell’andamento dei redditi medi professionali dal 2008 ad oggi. Al netto di una leggera ripresa negli ultimi anni, è evidente, infatti, il lungo deterioramento dei valori medi sia in termini nominale che, soprattutto, in termini reali e cioè al netto dell’inflazione.

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