Le tre crisi mondiali che negli ultimi 15 anni hanno colpito la nostra economia – dalla crisi dei mutui sub-prime americana 2007-2008 alla crisi pandemica 2020-2021 passando per la crisi dei debiti sovrani 2011-2012 – hanno provocato profondi mutamenti strutturali che hanno investito in modo particolare il mercato del lavoro. Specialmente dopo la crisi pandemica, l’occupazione ha cambiato pelle. Più posti di lavoro dipendente a tempo indeterminato e meno occupati indipendenti. Molti Ordini professionali hanno registrato andamenti negativi negli iscritti dovuti sia al calo delle nuove iscrizioni, sia all’incremento delle cancellazioni e, più in generale, si è cominciato a parlare in maniera diffusa di un calo significativo della propensione verso la libera professione.

In questo quadro, appare importante evidenziare come gli iscritti all’Albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, rispetto al 2019, siano aumentati dell’1,4%, mentre, nello stesso periodo, gli iscritti alle Casse di previdenza della categoria sono aumentati dell’1,9%. Peraltro, occorre evidenziare che, nello stesso periodo, mentre gli iscritti alla Cassa Dottori (CDC) sono aumentati del 5,2%, quelli della Cassa Ragionieri (CNPR) sono diminuiti del 6%.

Nello stesso periodo, la professione forense ha subito un calo di iscritti del 2%. Gli iscritti alla Cassa di previdenza dei consulenti del lavoro (ENPACL), sempre nello stesso periodo, sono diminuiti dello 0,4%, mentre gli iscritti alla Cassa del notariato si sono ridotti del 2,8%.

IL CALO DEI PRATICANTI

Il calo dei praticanti commercialisti, particolarmente pronunciato negli ultimi anni, si inserisce nella macro-tendenza in atto ormai da diversi anni che coinvolge l’intero mondo delle libere professioni interessato dai profondi mutamenti, cui si è accennato in apertura, del mercato del lavoro legati alle crisi economiche e, più in generale, alle tendenze sociodemografiche in atto.

Il Rapporto 2024 sull’Albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili ha certificato, infatti, per il secondo anno consecutivo, un calo degli iscritti al Registro dei praticanti tenuto dai 132 Ordini territoriali. Complessivamente, nel biennio 2022-2023, i praticanti sono diminuiti del 17% scendendo a 11.522 rispetto al livello record degli ultimi otto anni raggiunto nel 2021 con 13.954 iscritti. Attualmente, il rapporto tra iscritti al Registro praticanti e iscritti all’Albo è di 1 a 10. Certamente, il Covid ha avuto un effetto di disturbo sulla serie storica visibile nell’onda formatasi nel 2021 con un incremento del 7,9% e nella successiva risacca del biennio 2022-2023. Se confrontiamo il dato 2023 con la media del triennio 2020-2022, il calo è pari a -12,9%. Non v’è dubbio, quindi, che si tratta di una tendenza negativa che desta non poche preoccupazioni nella categoria dei commercialisti.

Il dato sui praticanti commercialisti va letto, però, in un contesto più generale, tenendo conto, non solo dei cambiamenti intervenuti nel mercato del lavoro, come detto, finora, ma anche dell’impatto della rivoluzione digitale in atto da alcuni anni ed ora in fase di accelerazione.

Partiamo dal mercato del lavoro. Rispetto al 2019, secondo i dati Istat, mentre gli occupati totali sono aumentati del 2% e l’occupazione dipendente si è incrementata addirittura del 3,9%, gli occupati “liberi professionisti” sono diminuiti del 4,7%. In realtà, è tutta l’occupazione indipendente che registra un calo (-4,2%) e non solo i liberi professionisti, che ne rappresentano soltanto il 27% circa.

La tendenza al calo dell’occupazione indipendente e dei liberi professionisti è comune a tutti i Paesi europei e si esprime con velocità differente tra Paese e Paese. L’Italia e la Germania, ad esempio, sono i paesi che registrano i cali più significativi. Considerando che, storicamente, l’Italia presenta una quota di occupazione indipendente sul totale più elevata tra i paesi europei, si può dire che è in atto un processo di riallineamento strutturale.

Nel 2009 in Italia vi erano 45 liberi professionisti occupati ogni 1.000 abitanti contro i 23 della media europea e i 25 della Germania e l’Italia si collocava al primo posto per numero di liberi professionisti. Nel 2022, quel numero è salito a 48 (+7%), mentre la media Ue è aumentata a 28 (+22%). L’Italia ha perso una posizione scalando al secondo posto. Se, invece, consideriamo i liberi professionisti nella fascia 25-49 anni, l’Italia passa dal secondo posto del 2009 con il 69% al quindicesimo posto del 2022 con il 55,5% avvicinandosi, così, alla media Ue (52,5%) con la Germania molto più in basso (36,3%).

Il dato più significativo, però, proviene da Almalaurea ed è stato fornito da Confprofessioni nel suo ultimo Rapporto sulle libere professioni in Italia. Secondo Almalaurea, prendendo a base due gruppi di laureati, quelli dell’anno 2013 e quelli dell’anno 2017, a cinque anni dalla laurea, il tasso di occupati liberi professionisti è passato dal 22,2% al 18%. Infatti, sebbene sia evidente l’invecchiamento della popolazione, i laureati in Italia sono in costante aumento: +22% negli ultimi dieci anni il totale laureati e +31,5% i laureati del gruppo economico. Ma, sono sempre meno quelli che si orientano verso la libera professione.

Lo dimostra in maniera inequivocabile il calo dei candidati e degli abilitati agli esami di Stato della professione di Commercialista e non solo. Negli ultimi sette anni, infatti, il numero dei candidati si è ridotto del 63,5%, mentre il numero di abilitati è diminuito del 50,3%. Il calo, però, è generalizzato a tutte le professioni: -45,2% i candidati e -42,3% gli abilitati.

LA PROLETARIZZAZIONE DELLE LIBERE PROFESSIONI

Un altro aspetto da non sottovalutare, al quale qui possiamo soltanto accennare, riguarda i fondamentali economici delle libere professioni e di quella di commercialista in particolare. Da diversi anni, infatti, si susseguono analisi economiche delle professioni liberali dalle quali emerge con tutta evidenza la crescente proletarizzazione del settore. I redditi medi, infatti, tendono a svalutarsi in termini reali, cioè al netto dell’inflazione e non crescono in linea con il reddito nazionale. Ciò influisce notevolmente sul costo-opportunità della libera professione rispetto all’occupazione dipendente modificando in maniera significativa le valutazioni economiche sottostanti. Inoltre, la dilatazione dei tempi medi necessari a raggiungere una posizione di autonomia all’inizio della carriera professionale penalizza non poco le scelte dei giovani laureati che tendono, anche per questo, a preferire l’occupazione dipendente in azienda. Non ultimo, il tema del fallimento delle lauree brevi che erano state introdotte con prospettive ben diverse.

In questo scenario, la rivoluzione digitale e, più in generale, i profondi mutamenti in atto nella domanda di servizi professionali da parte delle aziende, stanno modificando le condizioni economiche basilari nell’esercizio della professione di commercialista rendendo, ad esempio, lo studio individuale sempre meno competitivo. Le imprese, infatti, esprimono in misura crescente una domanda qualificata e specialistica di servizi ad alto valore aggiunto, mentre riducono l’outsourcing dei servizi ordinari che, proprio grazie all’innovazione tecnologica, tendono più facilmente a internalizzare ottenendo benefici sia in termini economici ma anche in termini di sicurezza e, quindi, di gestione dei rischi. Alcuni dati sono inequivocabili. Ad esempio, sempre secondo l’Istat, dal 2019 ad oggi, i liberi professionisti senza dipendenti sono diminuiti del 5,6%, mentre quelli con dipendenti sono aumentati dello 0,8%. Se questo dato viene letto insieme a quello relativo al buon andamento delle Società tra professionisti, costantemente in crescita negli ultimi anni, è evidente la direzione in cui sta andando il mercato della professione di commercialista.

È vero, dunque, alla luce di questa analisi, che la professione di commercialista si sta mostrando particolarmente resiliente, anche perché il mercato dei servizi professionali che la riguarda continua ad espandersi in volume approfittando anche delle crisi economiche e di alcuni fattori anticiclici, ma è chiaro che occorre mettere in campo adeguate politiche di rilancio e, soprattutto, di transizione, politiche cioè che siano in grado di accompagnare i processi trasformativi in atto. In questo senso, particolare attenzione dovrà essere rivolta ai giovani, sia modificando e migliorando i percorsi di formazione iniziale, per renderli maggiormente coerenti e dedicati, sia promuovendo il loro ingresso in strutture aggregate, associate, societarie o di rete, dove essi possono sin da subito sperimentare percorsi di crescita e valorizzazione adeguati alle loro competenze e capacità.

 

Iscritti al Registro Praticanti al 31 dicembre. Anni 2016-2023

 

Società tra professionisti iscritte nella sezione speciale dell’albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili al 31 dicembre. Anni 2016-2023

 

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