“Nel Documento Programmatico di Bilancio 2021, il Governo stima di incassare tra il 2021 e il 2026 sovvenzioni UE a fondo perduto per complessivi 65,4 miliardi di euro. Appare cruciale che una fetta rilevante venga dedicata al sostegno degli investimenti privati, nella forma di incentivi alla capitalizzazione del sistema delle imprese”. E’ quanto affermato dai Consiglieri nazionali dei commercialisti, Gilberto e Gelosa e Maurizio Postal, nel corso dell’audizione parlamentare sul Decreto Ristori svoltasi oggi presso la Commissione Finanze del Senato, illustrando la proposta già avanzata nei giorni scorsi dal presidente della categoria, Massimo Miani, di istituzione di un “superbonus della ricapitalizzazione delle imprese”. “La capitalizzazione del sistema delle imprese – hanno affermato – costituisce un obiettivo primario per le imprese e per i suoi creditori, tra i quali, seppure indirettamente, è ormai molto forte il ruolo dello Stato, quale garante di ultima istanza verso il settore bancario, per gli ingenti prestiti che sono stati rilasciati con garanzia statale.
Un piano di incentivi alla ricapitalizzazione delle imprese, mediante le sovvenzioni UE, costituisce dunque il modo migliore per attuare una scelta win-win privato-pubblico, perché rafforza la solidità delle imprese e la loro capacità di rimborso dell’indebitamento, evitando al contempo allo Stato di dover intervenire con risorse proprie a copertura delle garanzie che verrebbero attivate dal sistema bancario nel caso in cui le imprese debitrici non fossero in grado di onorare i propri debiti”.
Per funzionare, hanno spiegato Gelosa e Postal “il meccanismo dovrebbe però essere estremamente semplice e l’incentivo estremamente premiante, come dimostra lo scarso appeal di strumenti simili recentemente introdotti, ma straordinariamente complessi e non sufficientemente premianti. Servirebbe un vero e proprio “superbonus della ricapitalizzazione delle imprese”, tale per cui, per ogni euro di aumento di capitale viene riconosciuto un euro di contributo pubblico (da appostare in una riserva di patrimonio netto non distribuibile), nella forma di credito di imposta cedibile a terzi, ivi comprese banche e istituti di credito (su modello superbonus edilizio)”.
“Unici accorgimenti – hanno proseguito – in un meccanismo normativo che deve essere il più lineare e semplice possibile, sarebbero quelli volti ad evitare “effetti moltiplicativi fittizi” nelle catene partecipative, prevedendo che una società, la quale abbia fruito del superbonus ricapitalizzazioni, se ricapitalizza una propria partecipata, attribuisce a quest’ultima un superbonus del 100% solo per la parte di apporto di capitale eventualmente eccedente l’aumento di capitale che è stato agevolato in capo ad essa. Eventualmente, per concentrare maggiormente le risorse (mantenendo elevato e quindi “irrifiutabile” l’occasione di cogliere l’incentivo), si potrebbe prevedere una limitazione della platea soggettiva alle sole imprese che, nel 2020, rispetto al 2019, hanno avuto un calo di fatturato oltre una determinata soglia e hanno registrato un aumento del rapporto capitale di debito / mezzi propri superiore a una determinata soglia (fermo restando che non devono avere un rapporto deteriorato al punto da rientrare nella nozione comunitaria di società già in difficoltà).
“Sarebbe il modo migliore di investire una parte cospicua delle sovvenzioni a fondo perduto UE”, hanno concluso Gelosa e Postal. “Lo Stato si tutelerebbe rispetto alle esposizioni che ha come garante, le imprese reggerebbero nei prossimi anni la sfida della ripartenza e del contemporaneo pagamento dei debiti contratti per sopravvivere nella fase di massima difficolta e, alla fine del periodo di rimborso dei prestiti garantiti, avremmo uno Stato con meno deficit e debito di quello che altrimenti avrebbe e imprese più capitalizzate di quello che altrimenti sarebbero”.
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