La crisi sanitaria conseguente all’esplosione della pandemia da Covid 19 sta colpendo duramente anche l’economia del Paese. L’eccezionalità dell’emergenza che viviamo è un fattore che impatta negativamente sulle attività economiche di privati e imprese, rendendo al tempo stesso più complesso il mestiere di chi, come noi commercialisti, a tali soggetti prestano assistenza e consulenza.

I commercialisti si sono immediatamente attivati per fornire al meglio l’assistenza ai propri clienti sia nell’accesso agli strumenti di sostegno al reddito sia nella gestione contabile-finanziaria delle attività produttive mantenute. Da subito è stato anche segnalato il pericolo di una grave crisi economica del Paese con ripercussioni sociali ed economiche a breve e lungo termine in tanti settori produttivi e con riflessi anche nell’economia internazionale.

Fa parte infatti del DNA del commercialista un approccio operativo diretto all’analisi delle dinamiche economiche che i clienti (individui e impese) si trovano a fronteggiare al fine di gestirne i rischi e coglierne le opportunità di crescita, assicurando che tutto ciò si svolga attraverso comportamenti economici corretti.

IL CODICE DELLA CRISI D’IMPRESA

La crisi che ha travolto il tessuto produttivo italiano ha indotto il Legislatore a prorogare, almeno per il momento,  l’entrata in vigore del Codice della crisi dell’impresa e dell’insolvenza (prevista per agosto 2020) nel tentativo di non ‘appesantire’ le  imprese italiane, evitando agli imprenditori l’onere di fronteggiare il nuovo set di regole per gestire le potenziali difficoltà (considerata in particolare la probabile emersione, anche nelle imprese solide o comunque fondamentalmente sane, di fenomeni di discontinuità aziendale dovuti allo stato generalizzato di emergenza conseguente alla pandemia).

Si è molto discusso se gli istituti giuridici previsti dal suddetto codice della crisi  (alcuni dei quali innovativi come il sistema di allerta, ossia di intercettazione precoce di segnali di crisi dell’impresa), possano essere utilmente impiegati per il superamento dello stato di crisi vissuto da molte imprese o, al contrario, possano rivelarsi controproducenti se utilizzati nell’attuale condizione in cui gli effetti delle restrizioni disposte dai provvedimenti governativi emergenziali hanno, di fatto, generato cali di fatturato e crisi di liquidità in modo diffuso.

Sarà essenziale individuare correttamente il concetto di continuità aziendale al fine di individuare quei soggetti, solvibili e solidi prima della dichiarazione dello stato di emergenza sanitaria, che possono essere aiutati a fronteggiare le perdite derivanti dalla inattività conseguente alle restrizioni stabilite dal Legislatore per il contenimento del contagio. Con l’obiettivo, ovviamente di assicurarne la sopravvivenza.

Ma certamente, è anche vero, come evidenziato dal prof. Rordorf in un recente intervento, che “i rimedi per favorire il superamento delle attuali difficoltà del nostro mondo produttivo, fatto soprattutto di piccole e medie imprese che la pandemia potrebbe distruggere, bisogna cercarli altrove: sul terreno dell’intervento finanziario dello Stato, dell’agevolazione del credito bancario, degli sgravi fiscali, e simili”.

In altri termini, aldilà delle valutazioni di opportunità che hanno indotto il legislatore a procrastinare l’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa, resta un fatto tanto evidente quanto indiscutibile: gli effetti dannosi dell’emergenza sulla nostra economia devono essere contrastati innanzitutto con interventi di tipo economico.

Dunque, partendo dalla riflessione se il codice della crisi e insolvenza dell’impresa possa aiutare o meno ad affrontare il grave momento attuale, si è aperto un confronto ben più ampio che ci conduce ad affrontare la crisi economica che rischia di travolgere il Paese con una prospettiva che necessariamente deve essere nuova per individuare quelle condizioni e  strumenti – anche innovativi – che possono incrementare la resilienza delle imprese all’impatto catastrofico con gli effetti dello stato di emergenza sanitaria, nonché assisterle nell’affrontare nuove, future e possibili situazioni di emergenza.

Diventa pertanto necessario focalizzare l’attenzione su alcuni concetti chiave nel formulare alcune proposte – spero concrete – per la ripresa.

UNA DIMENSIONE ETICA DEL FARE IMPRESA

È stato ripetutamente evidenziato che questa crisi sta facendo emergere i limiti del modello economico e che gli interventi di sostegno  potrebbero non risultare efficaci e sufficienti se non inseriti nell’ambito di una generale riformulazione di tale modello.

Come più volte emerso in incontri con il mondo delle professioni, della politica, è probabilmente giunto il momento di rivedere l’attuale modello economico fondato sul profitto e sulle regole del mercato globalizzato dando maggiore rilievo alla dimensione etica del fare impresa che richiama concetti quali responsabilità e solidarietà.

In particolare, è stato più volte richiamato il tema dell’attuazione del principio della solidarietà come elemento correttivo dello squilibrio che la pandemia ha introdotto nei rapporti patrimoniali e in particolari di quelli contrattuali.

In tale ambito è stata sottolineata l’importanza di dare attuazione ad una visione etica del fare impresa che tenga conto dell’esigenza di tutti i soggetti coinvolti a partire ad esempio dai consumatori, dalla tutela della loro salute e sicurezza. Ciò comporta evidentemente anche una nuova visione da parte dell’imprenditore che sia pronto a considerare la propria impresa come un bene per la società, non solo proprio.

Proposte quali la rinegoziazione delle clausole contrattuali per i soggetti le cui attività economiche sono state danneggiate dall’emergenza e la sospensione dell’imposta sugli utili reinvestiti nell’impresa (ad esempio nella nuova assunzione di lavoratori) sono solo alcune delle interessanti idee emerse in tal senso.

Il vicepresidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Giorgio Luchetta

CONTRO LA BUROCRAZIA FUNZIONI SUSSIDIARIE ALLE PROFESSIONI

Accanto a tale principio ne vorrei però sottolineare un altro, altrettanto rilevante: quello della sussidiarietà.

Le misure relative alle moratorie sui prestiti nonché quelle di finanziamenti garantiti dallo Stato sono stati oggetto di grande adesione da parte dei cittadini. Già nella seconda settimana di maggio sono saliti a oltre 2,2 milioni le domande di adesione alle moratorie sui prestiti per complessivi 233 miliardi, mentre hanno superato la quota di 150.000 le richieste di garanzia per i nuovi finanziamenti bancari per le micro, piccole e medie imprese presentati al Fondo di Garanzia per le Pmi.

Al tempo stesso si è immediatamente reso evidente che l’efficacia delle misure governative approntate dipendono, in larga misura, dalla tempestività con cui gli operatori economici (a partire dalle imprese) riusciranno ad accedere alle iniezioni di liquidità disposte dalla normativa emergenziale. Sono subito emerse le difficoltà di accedere a tali misure, connesse in larga misura alla eccessiva burocratizzazione delle relative procedure. Sono emersi i limiti delle previsioni legislative dinanzi alla concreta applicazione delle misure di sostegno individuate dal Legislatore: limiti derivanti dalla mancata regolamentazione espressa di alcuni rilevanti profili giuridici (si pensi ad esempio alla definizione degli ambiti di responsabilità nell’erogazione dei prestiti controgarantiti dallo Stato/Sace/fondo PMI), come anche  dall’eccessiva burocratizzazione delle procedure, anche di quelle affidate a soggetti privati professionali quali le banche. In particolare, l’eccessiva burocratizzazione delle procedure (con la relativa mancanza di chiarezza e semplificazione) sta appesantendo le procedure decisionali allungando i tempi per l’erogazione delle risorse e ciò rischia di compromettere in larga parte l’efficacia delle misure di sostegno individuate.

La burocrazia costituisce una delle note dolenti del nostro sistema e, come recentemente evidenziato dal nostro presidente Miani, deve essere seriamente affrontato “per mettere mano alla ricostruzione del Paese provando a trasformare questo passaggio in una opportunità di cambiamento”.

Come è possibile accelerare, in questo particolare momento storico, il processo di semplificazione della burocrazia anche al fine di meglio rispondere alle esigenze di sostegno del nostro sistema produttivo? Una possibile soluzione potrebbe essere quella di dare attuazione concreta al principio di sussidiarietà, alleggerendo la pubblica amministrazione di incombenze che potrebbero essere meglio gestite da corpi sociali intermedi quali le categorie professionali, che già svolgono per loro natura un ruolo di trait d’union tra le istituzioni e il tessuto economico del Paese.

Non è un caso, peraltro, che proprio “Garantire l’applicazione del principio di sussidiarietà” sia uno dei 10 obiettivi proposti nel “Manifesto per la Rinascita dell’Italia”, il recente documento per la ripartenza economica dei professionisti e di tutte le attività produttive promosso dal CUP e da Professioni italiane e presentato nel corso degli Stati generali delle professioni del 4 giugno.

Perché i professionisti sono il naturale anello di congiungimento tra l’individuo e la collettività, tra l’impresa e lo Stato: e ben sanno assistere i privati, i lavoratori e le imprese in ogni momento significativo della loro attività economica.

A tal proposito è evidente che risulta quanto mai centrale il ruolo del commercialista perché è il professionista che accompagna passo passo la vita imprenditoriale ed economica del nostro Paese. Noi commercialisti infatti, affianchiamo da sempre l’imprenditore, il commerciante, l’artigiano, il lavoratore autonomo, e, in genere, ogni privato cittadino nei momenti più significativi della propria attività economica.

In altri termini sarebbe opportuno fare in modo che quella che costituisce da sempre un’obiettiva ‘eccellenza’ venga utilizzata in modo attivo e dinamico rendendo i commercialisti un anello di congiunzione tra le aspettative dei cittadini, oggi più che mai provati dall’emergenza economica, e le esigenze delle istituzioni, supportando entrambi non solo con  un bagaglio di conoscenze ed esperienze professionali impareggiabili, ma anche con un approccio e mentalità diretta, per sua natura, alla individuazione dei rischi e alla valorizzazione delle opportunità nonché, infine, alla risoluzione dei problemi.

Peraltro il commercialista è, per la natura della sua attività professionale,  un referente insostituibile della Pubblica Amministrazione, degli Enti pubblici e privati, dell’Autorità Giudiziaria e svolge un fondamentale ruolo di interlocuzione e mediazione tra le istituzioni e i cittadini. Negli ultimi anni, gli studi dei commercialisti con mezzi e spese proprie, hanno consentito alla Pubblica amministrazione di mettere in atto una riforma epocale a costi zero per lo Stato. Valga per tutti l’esempio degli invii telematici degli atti e dei documenti, delle dichiarazioni dei redditi, del pagamento delle imposte e così via. Ma le competenze dei commercialisti non si fermano certo alla materia fiscale: essi sono infatti i professionisti che meglio conoscono i  processi aziendali e sono capaci di orientare le aziende tra i numerosi i benchmark di riferimento che queste devono osservare (sia per essere competitive sui mercati sia per conformarsi alla richiesta di trasparenza, legalità, garanzia e tutela dell’affidamento dei terzi che il mercato stesso richiede e che il Legislatore disciplina espressamente attraverso una complessa normativa).

Nell’attuale situazione di emergenza, potrebbe dunque delinearsi un uovo ruolo per i professionisti che vogliono farsi carico di intervenire in quei settori dove il loro sapere può essere un vantaggio reale sia per i cittadini sia per le istituzioni.

In particolare, nel delineare un ‘codice della pandemia’, sarebbe opportuno dedicare un’apposita riflessione alla individuazione di funzioni che la pubblica amministrazione potrebbe utilmente delegare ai commercialisti in attuazione del principio di sussidiarietà a favore dei privati cittadini e dello Stato.

L’attribuzione di alcune mansioni ai professionisti può infatti costituire uno strumento fondamentale per semplificare l’attività delle amministrazioni pubbliche e ridurne i tempi di produzione. In tale ambito, nel comparto della pubblica amministrazione potrebbero essere individuati alcuni atti in relazione ai quali delegare ai professionisti la gestione dei relativi processi amministrativi. Tali atti potrebbero consistere, da un lato, nello svolgimento di funzioni ausiliarie della pubblica amministrazione e, dall’altro, in attività di attestazione.

Simile operazione costituirebbe, indubbiamente, un importante fattore di sviluppo a beneficio non solo del mondo professionale ma della intera collettività.

Peraltro, già attualmente i commercialisti svolgono attività ausiliarie: si pensi a titolo meramente esemplificativo, agli incarichi di curatela nell’ ambito della liquidazione giudiziale, come anche nel medesimo ambito alle attestazioni di fattibilità, attuabilità e ragionevolezza dei piani attestati, concordati preventivi e accordi di ristrutturazione. Si pensi ancora alla mediazione civile e commerciale.

Ma molte altre sono le funzioni che potrebbero essere utilmente delegate ai commercialisti per semplificare le procedure amministrative garantendo al tempo stesso, l’affidabilità dei controlli operati. Si pensi, ad esempio, alla possibilità di abilitare i commercialisti a iscrivere alcuni specifici atti societari, con l’effetto di darne immediata pubblicità ai terzi; l’attribuzione di tale funzione consentirebbe di ridurre i tempi di pubblicità degli atti, con conseguenti vantaggi per i terzi che non dovrebbero più attendere i tempi dei controlli dei funzionari della Camera di commercio per dare la prevista informativa sugli atti depositati. In questo caso il professionista si sostituirebbe alla struttura camerale nella fase dei controlli.

Con particolare riferimento alla attuale situazione emergenziale e in vista di favorire la ripresa economica del Paese, ci sono però, delle specifiche funzioni che potrebbero essere svolte dai commercialisti.

Mi riferisco in particolare alle funzioni di attestazione documentale in fase di domanda e rendicontazione di qualsiasi tipo di progetto finanziato da risorse pubbliche. Come già evidenziato l’efficacia delle misure di sostegno alla liquidità delle imprese dipende in larga misura dalla tempestività con cui tali soggetti potranno in concreto accedere a tali risorse evitando le lungaggini e pesantezze legate all’eccessiva burocratizzazione delle procedure di erogazione. Nel momento attuale questa funzione potrebbe essere utilmente declinata utilizzando il commercialista come intermediario tra le imprese e lo Stato, semplificando notevolmente tempi e modalità per l’erogazione dei contributi.

Altra funzione che potrebbe attribuirsi ai commercialisti, al fine del superamento della crisi, potrebbe derivare dall’introduzione di una specifica funzione di attestazione, da parte di tali professionisti, degli adeguati assetti organizzativi (art. 2086, co. 2, c.c.) anche ai fini della verifica della sussistenza della continuità aziendale.

Più in generale si può e deve ragionare sulla possibilità di valorizzare il rapporto di collaborazione tra banche e commercialisti in qualità di attestatori (ad esempio della regolarità del business plan) al fine di favorire attraverso la figura qualificata di tale professionista, il rapporto banca-impresa, riducendo l’asimmetria informativa che lo caratterizza. In tal senso segnalo che già esiste un Protocollo d’Intesa tra ABI e CNDCEC che potrebbe essere utilmente ampliato nell’operatività per rispondere alle attali esigenze di riscontro alle richieste di credito da parte di lavoratori autonomi, micro, piccole e medie imprese.

INDIPENDENZA, ETICA E DEONTOLOGIA PER I COMMERCIALISTI

A garantire indipendenza, competenza, trasparenza e correttezza dell’agire del commercialista, che fosse rivestito di tali nuovi funzioni e ruoli, soccorre indubbiamente la sua appartenenza ad una professione regolamentata. In particolare le garanzie di competenza trovano riscontro in primis nell’esame di Stato e nel percorso di studi e di tirocinio richiesto dalla legge per ottenere l’iscrizione nell’albo e l’esercizio della professione, come anche il  riconoscimento legislativo, in capo ai commercialisti, di competenze tecniche specifiche.

A garanzia dell’indipendenza, correttezza e trasparenza della attività svolta dal commercialista concorre:

  • l’assoggettamento a rigorose regole di controllo pubblico sia nella fase di accesso alla professione, sia nella successiva fase di svolgimento dell’attività professionale, sul rispetto delle disposizioni di legge e deontologiche;
  • l’assoggettamento ad un consolidato codice deontologico che, in aggiunta e a integrazione delle norme di legge, definisce doveri e obblighi nello svolgimento dell’attività professionale e
  • il conseguente assoggettamento a specifiche sanzioni di natura disciplinare in conseguenza di violazioni di tali doveri e obblighi.

Come delegato nazionale alla deontologia professionale mi preme evidenziare che l’etica, lungi dall’essere un orpello anacronistico del professionista, rappresenta oggi più che mai una componente essenziale e imprescindibile della libera professione: il commercialista è costantemente a contatto con l’economia e con la ricchezza che ne deriva,  ed è pertanto essenziale la sua preparazione, il suo comportamento e la sua visione etica.

Mi sembra, a tal riguardo, significativo ricordare che il nostro codice deontologico si fonda sull’osservanza del principio di integrità e sul dovere di agire nell’interesse pubblico al corretto esercizio della professione.

In particolare il principio di integrità costituisce il presupposto sul quale si innestano tutti gli altri doveri professionali. Li cito brevemente:

  • Obiettività (art. 7) che si concretizza nel dovere di agire da parte del professionista in assenza di pregiudizi, conflitti di interessi o indebite pressioni, nonché di mantenere un comportamento non influenzabile dalle aspettative del cliente; nonché indipendenza (art. 9) che concerne il dovere di evitare situazioni che possano ledere o compromettere l’atteggiamento di imparzialità e obiettività del professionista
  • Competenza, diligenza e qualità della prestazione (art. 8) che ha a che fare con il dovere di adempiere alla prestazione professionale con un grado di conoscenza tecnica adeguata alla natura di tale prestazione, seguendo la prassi professionale e i principi di comportamento di volta in volta individuati;
  •  Riservatezza (art. 10) che si incentra nell’obbligo di mantenere il segreto professionale e il riserbo di studio sulle informazioni acquisite nell’esercizio dell’attività professionale, salvo che vi sia un diritto o dovere di legge di comunicare tali informazioni;
  • Comportamento professionale (art. 11): che concerne il dovere generale di mantenere alta la reputazione personale e quella della professione, anche quando non si esercita.

Come si vede, tali precetti, concorrendo a costruire un modello comportamentale riconducibile all’imperativo generale di agire con correttezza, obiettività e indipendenza, competenza e diligenza, comportamento professionale e riservatezza, rappresentano, in astratto, un presidio codificato del tutto esauriente il cui rispetto  sistematico, da parte del commercialista, assicura, già di per sé, una efficace garanzia della correttezza, indipendenza e trasparenza della sua condotta. A completamento di tali principi di valenza generale, il Codice deontologico dispone, inoltre, una serie di obblighi specifici in relazione alla generalità dei rapporti professionali intrattenuti dal professionista: non soltanto, quindi, dei rapporti intercorrenti con i clienti, ma anche di quelli che il professionista pone in essere con i colleghi, con i propri dipendenti e collaboratori, con gli enti istituzionali della categoria professionale cui appartiene e in generale con tutti i terzi con i quali egli viene a contatto in ragione della sua attività. Si tratta dunque della codificazione di doveri e obblighi che investono totalmente l’attività di professionista, che è perciò sottoposta, in ogni momento e ambito, all’obbligo di conformità con principi e norme deontologici.

Peraltro, in caso di violazione di doveri, obblighi e divieti disposti dalla legge, il professionista, accanto alle responsabilità civile penale e amministrativa incorrerebbe nella responsabilità disciplinare che può comportare l’irrogazione della sanzione della radiazione, ossia della espulsione dal consesso professionale.

Solidarietà e sussidiarietà: si tratta di due termini sostanzialmente estranei al linguaggio dell’economia moderna e contemporanea. Certamente i temi che implicano sono presenti nella riflessione degli economisti i quali, però, ne limitano spesso la riflessione al ruolo dello Stato in funzione della promozione del bene comune della società.

In questo grave momento di crisi è allora forse giunto il tempo di riprendere non solo la riflessione su tali principi ma verificare se attraverso la loro attuazione si possa realizzare un modello economico maggiormente consapevole dei rapporti di interdipendenza delle varie forze sociali ed economiche e di una maggiore sinergia tra di esse.

In particolare, l’attuazione del principio di sussidiarietà, che costituisce uno dei pilastri dell’interesse generale, può rappresentare lo strumento efficace per realizzare un sistema maggiormente integrato tra Stato e cittadini attraverso la valorizzazione di corpi sociali quali innanzitutto le categorie professionali. Tale sistema, infatti, meglio recepirebbe le istanze degli operatori economici (privati e imprese) perché ad interloquire con questi non sarebbe più un referente dell’apparato burocratico ma un operatore professionale che ne conosce bene la realtà economica e produttiva.

Please follow and like us:
Pin Share
Leggi anche

STAI CERCANDO

Send this to a friend