Il tema della dichiarazione integrativa a favore del contribuente rappresenta, senza dubbio, una delle questioni di carattere generale di maggiore incertezza del panorama tributario. Ciò in quanto appare del tutto evidente come, nella redazione del modello, la complessità della disposizione fiscale e le stesse indicazioni contenute nelle istruzioni possano condurre in errore, circostanza che si può tradurre nella evidenziazione di una imposta non dovuta ovvero nell’esposizione di un credito inferiore a quanto effettivamente spettante.

Ad oggi, l’unica norma che regola compiutamente la fattispecie è quella di cui al comma 8-bis dell’articolo 2 del DPR n. 322 del 1998, in base alla quale è possibile, entro il termine di presentazione della dichiarazione successiva, procedere alla presentazione di una dichiarazione integrativa a favore del contribuente attraverso la quale si evidenzi un credito da portare immediatamente in compensazione. E questo senza alcuno slittamento del termine ordinario di accertamento del periodo di imposta oggetto di correzione.
La questione, laddove la correzione dell’errore debba intervenire una volta decorso il termine della dichiarazione successiva, è stata più volte affrontata in sede giurisdizionale ma non ha trovato una soluzione normativa ovvero interpretativa.

Muovendo dai principi sanciti dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 4776 del 2011, il tema può essere affrontato anche partendo dai principi generali di capacità contributiva di cui all’articolo 53 della Costituzione nonché dalle disposizioni contenute nell’articolo 8 della legge n. 212 del 2000.
Più in particolare, proprio la necessità di rispettare il principio di capacità contributiva è stato sancito dalla stessa Agenzia delle Entrate nella propria circolare n. 31 del 2013. In tale documento di prassi, infatti, è stato giustamente affermato come nel caso di errore commesso ai fini della corretta applicazione del principio di competenza, in primo luogo sotto l’aspetto civilistico con la conseguente ricaduta fiscale, si rende possibile integrare l’ultima dichiarazione presentata mediante una correzione delle dichiarazioni medio tempore presentate che, però, non devono formare oggetto di apposita presentazione in termini di dichiarazioni integrative.

Peraltro, nello stesso documento di prassi è stato correttamente sostenuto come il termine per l’accertamento della integrazione sia ampliato in relazione al tempo intercorso tra la commissione dell’errore ed il momento della integrazione. Principio, questo, che è stato peraltro recepito in via generale mediante le modifiche apportate all’articolo 13 del d.lgs. n. 472 del 1997 ad opera della legge n. 190 del 2014. Infatti, a far data dal 1° gennaio 2015, in caso di utilizzo dell’istituto del ravvedimento operoso, il termine per il controllo e l’accertamento dell’integrazione effettuata dal contribuente slitta in misura pari al periodo intercorso tra la dichiarazione originaria e quella integrativa. Se, cioè, oggetto di integrazione è il periodo di imposta 2013 con dichiarazione presentata nel 2015, il corrispondente termine di accertamento, limitatamente alla integrazione, spirerà il 31 dicembre 2019.

Ciò posto, ci si deve chiedere se il sistema sia equilibrato nel momento in cui a fronte di una dichiarazione presentata a correzione di un errore commesso a danno dell’erario, in cui correttamente la possibilità di controllo da parte dell’amministrazione finanziaria è più ampia, manchi invece una possibilità analoga nel caso di errore a danno del contribuente.
La norma che consentirebbe tale possibilità, cioè l’articolo 2, comma 8 del DPR n. 322 del 1998, che ammette la presentazione di una dichiarazione correttiva degli errori entro il termine di accertamento del corrispondente periodo di imposta, è stata sempre interpretata da parte dell’amministrazione finanziaria come una possibilità di integrazione esclusivamente a favore del fisco. Ma le correzioni alle norme in tema di ravvedimento di fatto la renderebbero un inutile doppione di un sistema modificato nei termini sopra esaminati a decorrere dal 2015.

Inoltre, appare del tutto bizzarro come la possibilità di rettifica oltre l’anno della dichiarazione presentata e della corrispondente possibilità di utilizzo immediato del credito in compensazione rimanga confinata all’ipotesi del contribuente titolare di redditi di impresa che commette un errore nella applicazione del principio di competenza. Tale possibilità deve essere ovviamente consentita a tutti i contribuenti, anche in relazione ad errori che siano relativi alla determinazione di altre categorie reddituali, come nell’ipotesi di mancata indicazione di oneri o detrazioni. Tenendo in considerazione il principio di capacità contributiva nonché quanto sancito dallo statuto dei diritti del contribuente, appare dunque del tutto legittimo ipotizzare che il contribuente che voglia correggere la propria dichiarazione errata e presentata oltre l’anno precedente, anche quando non sia titolare di redditi di impresa, possa accedere alla procedura delineata dalla circolare n. 31 del 2013.

Provvedendo, cioè, all’integrazione della ultima dichiarazione presentata e conservando le dichiarazioni intermedie in caso di richiesta da parte dell’amministrazione finanziaria. La stessa amministrazione, alla luce delle indicazioni contenute nel documento di prassi, non verrà privata del proprio potere di controllo in quanto, come esaminato, il termine di accertamento dell’integrazione slitta corrispondentemente, con conseguente piena possibilità di recuperare il credito eventualmente non spettante ed intanto utilizzato in compensazione. In altri termini, obbligare il contribuente alla presentazione di una istanza di rimborso ai sensi di quanto previsto dall’articolo 38 del DPR n. 602 del1973 appare del tutto asistematico, anche in assenza di una norma che specificatamente regoli l’ipotesi della dichiarazione integrativa a favore del contribuente oltre il termine di presentazione della dichiarazione successiva.

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