Confprofessioni Veneto ha avviato il progetto regionale “Generazioni Professionali a confronto. Aspetti valutativi, organizzativi, contrattuali, strategici”, interamente finanziato dalla Regione, che comprende una serie di attività da febbraio a dicembre 2020 utili per mantenere competitivo il settore degli studi professionali in Veneto.
Il progetto focalizza l’attenzione sui temi del trasferimento delle competenze, della continuità e del passaggio generazionale negli studi professionali con il duplice obiettivo di facilitare le attività economiche che, quotidianamente, offrono servizi professionali qualificati in ambito amministrativo, finanziario, legale, del lavoro e specialistico; favorire l’inserimento dei giovani professionisti in seno a realtà già esistenti per mantenere il patrimonio economico, di sapere e di fiducia costruito in anni di lavoro e sacrifici.
L’iniziativa ha anche previsto la formazione di due gruppi di lavoro – uno di commercialisti e uno di avvocati – a cui hanno aderito 14 studi primari del Veneto all’interno dei quali ci si interroga sul futuro della professione di commercialista, anche alla luce del nuovo contesto in cui ci stiamo muovendo: un contesto influenzato dal Covid-19. Il gruppo regionale dei commercialisti, di cui fanno parte 8 studi strutturati del Veneto, si è ufficialmente riunito per la prima volta a Vicenza l’11 febbraio.
Dando per scontata la necessità di crescere a livello dimensionale per affrontare le sfide poste dalla professione, i colleghi si interrogavano fin da subito sull’opportunità di perseguire un modello “standardizzato/industriale” oppure di mantenere una conformazione “artigianale”, improntata al mantenimento di una personalizzazione dei servizi professionali.
Ad un certo punto veniva presentato un case-study affrontato da uno degli studi facenti parte del gruppo: una società cliente di notevoli dimensioni aveva interrotto il rapporto professionale con lo studio a favore di una società di revisione appartenente alle Big Four perché il cliente aveva la percezione che sarebbe stato assistito in un modo migliore, più consono alle dimensioni raggiunte. In realtà, dopo un anno di rapporto con la società di revisione, il cliente tornava allo studio originario chiedendo di poter essere di nuovo assistito in via continuativa.
Il cliente raccontava che l’esperienza con la società di revisione non era stata per niente positiva: il referente era quasi sempre irreperibile e il cliente veniva di volta in volta dirottato su vari professionisti a seconda della specializzazione richiesta in base ai quesiti e alle esigenze posti. Il cliente, in altre parole, chiedeva uno studio strutturato, che potesse garantire continuità del servizio e offerta di vari servizi attraverso la specializzazione dei propri professionisti. Ma chiedeva ancora quel minimo di “artigianalità” che gli permetteva di mantenere e percepire in modo palpabile un rapporto di fiducia con il proprio commercialista.
A questo punto, però, si innestano punto però due altre tematiche. In primis la scelta del modello di business dello studio e del targetdi clientela desiderato. Uno studio che presta attività di elaborazioni dati contabili è chiaramente più votato a perseguire una industrializzazione del servizio attraverso una standardizzazione che riduca i costi di gestione, appesantiti dall’incidenza del costo del personale dipendente. Nell’ottica, invece, di abbandono dell’area contabile a favore di servizi di vera consulenza specialistica, prestati con il principale supporto dei professionisti, il discorso sarà del tutto differente.
Una seconda tematica deriva, invece, dalla gestione della rischiosità dello studio. In valutazione d’azienda, al fine di identificare il valore economico creato dalla struttura – inteso come capacità di produrre dei flussi provenienti dalla gestione operativa con una redditività superiore alla redditività del capitale investito (il cosiddetto sovrareddito) – ci si discosta dalle performance contabili per ragionare in termini economici, considerando anche i costi figurativi, primo fra tutti, per uno studio professionale, il compenso figurativo dei professionisti quantificato sulla base delle effettive ore lavorative. E vengono identificati e misurati quei driverdi valore attraverso i quali si può agire per accrescere la ricchezza prodotta. In una logica residual income model, il valore è dato da: W = capitale detenuto + risultati di sovrareddito attesi di breve termine + risultati di sovrareddito attesi di lungo termine.
Come per le imprese, il rischio dello studio professionale è valutato all’interno di due componenti: il premio per il rischio incorporato nel tasso di sconto e il saggio di crescita di lungo termine[1]. Ma, a questo punto, ci si chiede: la rischiosità di un modello “industrializzato” è la medesima di un modello “personalizzato”? E come si distribuisce questa rischiosità nel breve e nel lungo termine? Ancora: i professionisti inseriti in una struttura con un approccio di industrializzazione del servizio assumono una rischiosità pari, superiore o inferiore a quella che invece caratterizza uno studio basato sul concetto di personalizzazione? E come si innesta la tematica della gestione dei giovani nell’ambito di questi due modelli differenti? Molteplici sono gli spunti che si pongono all’orizzonte e spetterà ai due gruppi di lavoro l’approfondimento necessario per poi trasmetterne gli esiti nell’ambito degli elaborati che verranno prodotti e nella tavola rotonda di novembre, aperta a tutti i colleghi commercialisti e avvocati del Veneto.
L’improvvisa insorgenza dell’emergenza sanitaria causata dal Covid-19 ha cambiato però le precedenti riflessioni. Il virus, infatti, non ci dà alternative: implementare serie strategie, da subito, per sopravvivere, abbandonando la logica della scadenza, tipica del piccolo studio professionale italiano, e per valorizzare i giovani, che in questo nuovo contesto possono rappresentare una marcia in più per gli studi. La prima impressione all’interno dei due gruppi di lavoro è comunque positiva perché, nonostante il Coronavirus, c’è voglia di confrontarsi sui temi organizzativi nella consapevolezza che non ci sono soluzioni che vanno bene in assoluto. Il “vestito” va creato su misura. Ma per arrivare al risultato finale c’è da lavorare, fare dei tentativi, in vista della realizzazione della propria visione e del proprio modo di intendere la professione. La sfida alla professione è lanciata.
[1] Ghiringhelli P., Analisi di bilancio e driver di valore, Egea, Milano, 2017

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