Con l’accordo del 3 ottobre 2017 (d’ora in avanti anche “Accordo”), l’autonomia collettiva si è avvalsa della facoltà di “opting out” e ha istituito il Fondo di solidarietà per il settore delle attività professionali, ai sensi dell’art. 26, d.lgs. n. 148/2015, la cui successiva cooptazione nel sistema pubblico previdenziale (fase costitutiva) sottrarrà i professionisti datori di lavoro con almeno cinque dipendenti all’obbligatorietà di iscrizione al Fondo di integrazione salariale.

In attesa che, ai sensi dell’art. 26, co. 4, del d.lgs. n. 148/2015, il decreto ministeriale determini l’ambito di applicazione del FSB “Studi professionali”, il documento di ricerca del 3 agosto 2018, pubblicato dal Consiglio e dalla Fondazione nazionale dei commercialisti, si prefigge una prima analisi dei contenuti dell’Accordo, finalizzata ad evidenziarne i tratti innovativi e le zone d’ombra che, con tutta probabilità, sono alla base del rallentamento dell’attività amministrativa del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, necessaria e prodromica all’emanazione del decreto costitutivo.

Nella fase di avvio, il fondo assicurerà unicamente il finanziamento di un assegno ordinario in favore dei lavoratori interessati da riduzione dell’orario di lavoro o da sospensione temporanea dell’attività lavorativa, per le causali previste in materia di CIG, nel rispetto dei vincoli legali di pareggio di bilancio.

Si prevede che l’assegno ordinario abbia una durata massima differenziata rispetto al numero dei dipendenti dei professionisti iscritti al Fondo bilaterale di solidarietà. Per i datori di lavoro che occupano mediamente fino a 15 dipendenti la durata dell’assegno è fissata in 12 mesi da calcolarsi in un biennio mobile, con la possibilità di un’ulteriore concessione del trattamento di 26 settimane per professionisti con alle proprie dipendenze almeno 16 addetti.

L’importo dell’assegno ordinario è equiparato al trattamento di integrazione salariale, con l’applicazione dei medesimi massimali, in relazione alle causali previste dalla normativa in materia di integrazioni salariali ordinarie o straordinarie. Il parametro di riferimento per il calcolo dell’assegno ordinario è, anche in questo caso, la retribuzione imponibile ai fini previdenziali.

Le prestazioni sono rivolte a tutti i lavoratori subordinati che abbiano un’anzianità di lavoro effettivo di almeno 90 giorni presso l’unità produttiva per la quale è richiesta la prestazione e che durante i periodi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa si astengano da ogni attività lavorativa in favore di soggetti terzi.  I lavoratori interessati dovranno, altresì, impegnarsi a partecipare a percorsi di riqualificazione che i soggetti collettivi firmatari intendono implementare per il tramite delle strutture della bilateralità di settore.

L’accordo, inoltre, prevede una procedura di accesso ai trattamenti speculare a quella della cassa integrazione guadagni. Nei casi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa il datore di lavoro dovrà adempiere agli obblighi di comunicazione nei confronti delle organizzazioni sindacali che hanno istituito il Fondo. Alla nota di avvio seguirà un esame congiunto, “finalizzato al raggiungimento di un accordo fra le parti”, che dovrà esaurirsi entro 30 giorni dalla comunicazione per i datori di lavoro con oltre 50 dipendenti, ridotti a 20 per i datori con minore consistenza occupazionale.

Le domande di accesso alle prestazioni saranno esaminate dal comitato amministratore che delibererà gli interventi in base all’ordine cronologico di presentazione nei limiti di disponibilità finanziaria, secondo non meglio precisati “criteri di precedenza e turnazione e nel rispetto del principio della proporzionalità delle erogazioni” (ex art. 9 dell’Accordo).

In riferimento ai beneficiari delle prestazioni del costituendo Fondo di solidarietà per il settore delle attività professionali, l’intento degli agenti negoziali è sembrato finalizzato alla massima estensione del campo di applicazione oltre l’area delle professioni intellettuali regolamentate di cui agli artt. 2229-2238 c.c., ricomprendendo i datori di lavoro che ricadono nell’ambito applicativo della legge n. 4/2013 che disciplina le professioni non organizzate in ordini e collegi. La scelta sembra inserirsi nel solco già tracciato dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria realizzata dalle parti sociali in favore degli “studi professionali”, locuzione con la quale si suole sinteticamente fare richiamo alla categoria contrattuale corrispondente all’ambito di applicazione del Contratto collettivo nazionale di lavoro, delimitata in via convenzionale attraverso l’individuazione di tutte le attività professionali, anche associative, appartenenti alle professioni di area economico-amministrativa, giuridica, tecnica, medico-sanitaria e odontoiatrica, nonché alle altre professioni intellettuali con o senza albo.

Sotto quest’ultimo aspetto, però, per quanto paia plausibile sostenere l’esistenza di una correlazione tra pattuizioni contenute nel contratto collettivo nazionale in riferimento alla categoria contrattuale e l’ambito di operatività del Fondo di solidarietà bilaterale, perché il decreto ministeriale possa legittimamente determinare in tal senso l’ambito di applicazione, dovrà essere dimostrata la maggiore rappresentatività dei soggetti firmatari, rectius della coalizione nella sua globalità, in relazione a ciascun settore di attività enucleato nella categoria del contratto nazionale collettivo.

La portata maggiormente innovativa dell’accordo si rintraccia nell’estensione dell’area di tutela perseguita attraverso l’inclusione nella platea dei soggetti destinatari dell’operatività del Fondo dei professionisti datori di lavoro con almeno 3 dipendenti. Le associazioni datoriali di rappresentanza e le organizzazioni sindacali, consapevoli delle esigenze della categoria, fino ad oggi, in larga parte esclusa dall’applicazione FIS, hanno intrapreso un’azione di allargamento dell’area di protezione, maggiormente rispondente alle caratteristiche delle organizzazioni di lavoro in ambito professionale. Con tale accordo l’autonomia collettiva ha inteso parzialmente compensare lo squilibrio di tutela dovuto alla rigidità di funzionamento del FIS, la cui azione è chiaramente decentrata rispetto alle realtà degli studi professionali.

 

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