I giudizi espressi dai Commercialisti interpellati dal Censis sull’andamento dell’economia italiana e, in particolare, dell’economia delle imprese e delle famiglie, sono molto negativi tanto da spingere il Censis a lanciare un forte segnale di allarme rivolto soprattutto ai decisori politici. Che il clima di fiducia nell’economia italiana non sia positivo in questo periodo è attestato anche da altri indicatori, primi tra tutti quello dell’Istat che mensilmente misura la fiducia di imprese e consumatori. Ebbene, rispetto ad un anno fa gli indici di fiducia dell’Istat, in linea con i dati macro che delineano una sostanziale stagnazione dell’economia pur in un quadro di ripresa dell’occupazione, hanno accusato un calo. Ad esempio, i saldi nei giudizi rispetto all’andamento degli ordini tra luglio e settembre è oscillato intorno a -17% contro il -6% dello stesso periodo del 2018. O, ancora, in relazione alle attese sull’economia, il saldo nei giudizi positivi e negativi è oscillato intorno a -10% mentre era addirittura positivo a luglio 2018.

Anche dal lato famiglie il sentiment misurato dall’Istat mostra un peggioramento seppure in misura più contenuta. Ma è evidente che, pur essendo in linea con il trend generale, i dati sul clima di fiducia misurati dal Censis attraverso i Commercialisti contengono giudizi nettamente più negativi e a tratti molto preoccupanti. Ciò è dovuto, come lo stesso Censis ci tiene a precisare, alla particolare capacità del Barometro di cogliere il sentiment più autentico della base produttiva del Paese composta prevalentemente di micro e piccole imprese.

Normalmente, la percezione dell’andamento reale dell’economia è data da indicatori economici macro oppure congiunturali, mentre i pochi indicatori di sentiment ovvero di fiducia nello stato reale dell’economia e nelle prospettive future sono costruiti anch’essi su base strettamente congiunturale e, in genere, non danno molto peso agli operatori economici di piccola taglia.

Il Barometro Censis-Commercialisti rappresenta perciò un originale strumento di rilevazione del sentimento micro produttivo del paese. Perché coinvolge chi è più a stretto contatto con gli operatori, come i Commercialisti, e perché in questo modo riesce ad osservare la percezione più diretta e immediata di quel mondo. Infatti, uno degli aspetti più significativi della ricerca Censis è la misurazione separata del sentiment rispetto alle microimprese e alle imprese piccole e medie, separate in pratica dalla soglia di fatturato di 350 mila euro.

Basti pensare che ai circa 65 mila studi di Commercialisti si rivolge ogni anno oltre il 75% delle imprese italiane, in netta prevalenza micro e piccole. Inoltre, su circa 3,5 milioni di imprese, almeno 2,9 milioni sono micro imprese e cioè imprese che, in forma individuale o societaria, realizzano un fatturato non superiore a 350 mila euro. Si tratta di due semplici dati, il cui incrocio rivela la straordinaria forza espressiva dei Commercialisti che, anche in seguito all’evoluzione del fisco digitale e della relativa normativa, hanno assunto sempre di più il ruolo di intermediari tra imprese, famiglie e pubblica amministrazione.

Per questo motivo, i dati elaborati dal Censis e raccolti attraverso il radar dei Commercialisti destano enorme preoccupazione. È importante sottolineare come i Commercialisti non si siano mai espressi così duramente sulle reali condizioni dell’economia italiana e, soprattutto, delle imprese micro e piccole in particolare.

Il Censis parla di “smottamento delle micro imprese“. È evidente che il tema della fatturazione elettronica può aver condizionato in qualche modo il giudizio dei Commercialisti e quindi delle imprese, così come il tema degli Isa che tante critiche ha suscitato negli ultimi mesi. Infatti, nonostante l’estensione dei regimi fiscali agevolati e il conseguente ampliamento della platea di esonerati dall’obbligo della fatturazione elettronica e degli Isa, la maggior parte delle microimprese è rimasta coinvolta pienamente nel processo di cambiamento. Ciò ha evidentemente generato, specie in quest’anno di transizione, una forte pressione organizzativa che non ha potuto non impattare sui costi interni e scaricarsi in gran parte sui Commercialisti che spesso seguono le microimprese per tutti gli adempimenti fiscali a fronte di compensi forfettari e difficilmente modulabili in base al lavoro.

Dall’analisi complessiva dei dati non v’è dubbio che il rapporto tra le imprese da una parte e banche, fisco e pubblica amministrazione dall’altra abbia focalizzato maggiormente l’attenzione dei Commercialisti. Per le banche, ad esempio, al di là del dato a valenza congiunturale, sul numero di imprese clienti che hanno richiesto finanziamenti bancari, cresciuto per il 38,9% del campione, o del numero di imprese che hanno avviato processi di ristrutturazione, cresciuto per il 19% del campione, entrambi indici di difficoltà congiunturale delle imprese, colpisce il fatto che nel giudizio sul rapporto banche e imprese i Commercialisti abbiano espresso una valutazione ampiamente più negativa rispetto a quello tra fisco e imprese. Infatti, leggendo con attenzione i dati si scopre che per il 79,3% dei Commercialisti negli ultimi 5 anni il rapporto delle imprese con le banche è diventato più complicato contro il 69,7% che ha espresso un analogo giudizio nel rapporto con il fisco.

E la stessa discrasia nei giudizi si ripete a livello prosettico. Infatti, chiamati a rispondere sullo stesso rapporto tra cinque anni, il 60% dei Commercialisti ritiene che il rapporto delle imprese con le banche peggiorerà contro il 53,8% che ha espresso un analogo giudizio nei rapporti con il fisco.

Interessante anche sottolineare i dati relativi, nell’ambito ai rapporti con il Fisco, al ricorso da parte delle imprese al ravvedimento operoso, indice evidente di difficoltà nei versamenti verso lo Stato, e le lettere di compliance che rappresentano un altro indicatore dei rapporti “difficili” tra contribuenti e fisco. A fronte di un 40% di Commercialisti che non ha riscontrato variazioni rispetto a un anno prima nel ricorso delle imprese allo strumento del ravvedimento operoso, il 53% ha invece segnalato un incremento contro il 5% che ha indicato una diminuzione. Un segnale chiaro ed inequivocabile delle difficoltà di liquidità delle imprese che, però, è dipeso in maniera preponderante dal giudizio di quei Commercialisti che hanno tra i propri clienti in prevalenza microimprese. Infatti la quota di chi ha segnalato un aumento del fenomeno è pari al 55% nel caso delle microimprese e al 26% nel caso delle piccole e medie imprese. Se poi si guarda al numero di imprese con debiti scaduti e/o non pagati al fisco, la quota di chi dichiara un aumento è pari a 52% per le microimprese e 23% per le piccole e medie imprese.

Ancora più interessante, invece, il dato relativo alle lettere di compliance. Infatti, solo l’11% del campione ha dichiarato che nessuna impresa sua cliente ha ricevuto lettere di compliance nell’ultimo anno, mentre, per la restante parte, il caso in cui le lettere non siano state infondate è limitato all’11%. Invece, per il 43% del campione una minoranza di imprese clienti ha ricevuto lettere infondate e per il 26% la maggior parte, mentre solo per il 2,5% l’infondatezza si è manifestata in tutti i casi. Inoltre, sebbene per il 61% del campione il caso di lettere di compliance poi rivelatesi infondate è rimasto uguale rispetto a un anno prima, per il 20% si è verificato un aumento contro il 12% che ha registrato una diminuzione permettendo così di evidenziare un saldo comunque negativo a testimonianza di un fenomeno che continua a crescere generando ulteriori complicazioni nel sistema.

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