Il tema delle criptovalute e del loro utilizzo appare assai complesso non solo per la inevitabile necessità di conoscenza dell’utilizzo di avanzate tecnologie informatiche che implica, ma anche perché appare un tema relativamente nuovo e oggetto, ancora per il momento, di limitati interventi chiarificatori. Tale tema apre scenari che rimangono tutt’ora incerti e in continua evoluzione.
Per questo appare, a mio avviso, particolarmente utile creare momenti di confronto e di dialogo tra soggetti appartenenti a diverse aree di competenza – giuridica, tecnologica, economica, istituzionale -.
Certamente le tecnologie connesse all’utilizzo delle criptovalute possono annoverarsi a pieno titolo fra le innovazioni digitali più dirompenti emerse negli ultimi anni. Si pensi innanzitutto alla blockchain che è alla base del funzionamento per il bitcoin, una criptovaluta digitale decentralizzata basata su un sistema di pagamento peer-to-peer e su principi crittografici.
Sotto il profilo della prevenzione e contrasto dei fenomeni corruttivi, proprio in relazione all’utilizzo della blockchain, si registrano posizioni contrastanti: vi è infatti chi vede nell’utilizzo di tale tecnologia un utile strumento in grado di contrastare la corruzione (proprio per la caratteristica di rendere immodificabili i dati) mentre secondo altri, tale strumento è in se stesso un potenziale catalizzatore per la criminalità internazionale.
Una ampio quadro delle opportunità e dei rischi derivanti dall’utilizzo di valute virtuali (e della DLT – distributed ledger technology) è presente nella Risoluzione del Parlamento europeo del 26 maggio 2016 sulle valute virtuali (2016/2007(INI)), che, nel rilevare la rapida evoluzione del panorama tecnologico dei pagamenti, ha elencato pro e contro di tali strumenti. Tra le opportunità evidenziate in tale ambito ricordo in particolare:
- la riduzione dei costi di transazione e dei costi operativi dei pagamenti,
- la riduzione del costo di accesso ai finanziamenti anche in assenza di un conto bancario tradizionale,
- l’istituzione di sistemi che combinino la facilità di utilizzo, costi di transazione e operativi ridotti e un elevato grado di riservatezza, senza però l’anonimato totale
Tra i rischi evidenziati cito in particolare:
- l’elevata volatilità delle valute virtuali e il rischio di bolle speculative, nonché l’assenza di forme tradizionali di vigilanza regolamentare, garanzia e tutela,
- le possibilità di favorire transazioni sul “mercato nero” nonché operazioni di riciclaggio di denaro, di finanziamento di attività terroristiche, di frode ed evasione fiscale e altre attività criminali basate sulla “pseudonimia” e sui “servizi misti” offerti da alcuni dei servizi in questione e la natura decentrata di alcune valute virtuali.
Come si vede, si tratta di fenomeni illegali gravissimi, sovente connessi all’azione della criminalità organizzata ma non solo, che impattano non solo sul contesto economico del Paese ma anche sulla sua sicurezza e che, sovente, sono intimamente connessi anche a fenomeni corruttivi.
E’ stato autorevolmente evidenziato di recente (RANIERI RAZZANTE in “BIT COIN E CRIPTOVALUTE”) che “il rischio tipico connesso all’utilizzo delle criptovalute è quello di facilitare e offuscare le transazioni di denaro finalizzate alle attività criminali” (si pensi al riciclaggio di denaro, al finanziamento delle attività terroristiche come anche al commercio di droghe e armi, la frode su scala globale e l’evasione fiscale).
A conferma di ciò vanno considerate le recenti dichiarazioni della FINMA – Autorità Federale svizzera di vigilanza dei mercati finanziari (riportate in un articolo apparso su Italia Oggi lo scorso dicembre 2019).
In particolare l’Autorità elvetica – nel report di monitoraggio dei rischi finanziari del mercato interno – ha segnalato che, in aggiunta ai tradizionali rischi di riciclaggio di denaro, “l’industria finanziaria si trova ad affrontare nuovi rischi anche nel settore della blockchain e dei criptoasset che attirano un crescente interesse da parte dei clienti”. Nel rapporto è stato in particolare evidenziato che tali nuove tecnologie pur apportando miglioramenti al settore dell’industria finanziaria, accentuano il rischi di riciclaggio a causa dell’aumento del potenziale anonimato nonché della rapidità e della natura transfrontaliera delle transazioni. Sappiamo bene che si tratta di quei profili (anonimato, rapidità delle transazioni a livello globale) già individuati dagli addetti ai lavori come critici nell’utilizzo id tali tecnologie e che si sta tentando di correggere attraverso interventi normativi mirati (diretti in particolare a garantire identificazione dei soggetti che le effettuano e assicurare la tracciabilità delle transazioni effettuate).
Ma le dichiarazioni della Finma appaiono particolarmente interessanti laddove, in riferimento agli istituti finanziari elvetici, si afferma che “A causa della riduzione dei margini” tali istituti “possono prendere la decisione commerciale di avviare rapporti con nuovi clienti di paesi emergenti a rischio relativamente elevato, dove esiste una significativa minaccia di corruzione”. I recenti scandali globali di corruzione e riciclaggio, come quelli che hanno coinvolto il fondo malese 1MDB e i giganti petroliferi brasiliani e venezuelani Petrobras e PDVSA, «dimostrano che i rischi per le istituzioni finanziarie coinvolte nella gestione patrimoniale transfrontaliera rimangono elevati».
Tali rischi peraltro, a nostro avviso appaiono tanto più grandi quanto più si pensa alla possibilità, di spostarsi verso l’uso di valute, diverse dai bitcoin, dove la componente di anonimità è intrinseca allo strumento.
D’altra parte, a parere di molti, la tecnologia alla base delle criptovalute (in primis la blockchain) potrebbe costituire un efficace strumento per sconfiggere tale gravissimo fenomeno nell’ambito, ad esempio, delle gare pubbliche.
L’adozione di tale tecnologia nell’ambito della gestione degli appalti consentirebbe di assicurare al sistema un livello di trasparenza più elevato di quello attualmente garantito dal Codice dei contratti pubblici, permettendo un controllo più diffuso delle procedure di aggiudicazione sia attraverso la verifica del possesso dei requisiti dei soggetti che partecipano alle gare sia attraverso la individuazione del vincitore della gara in base a criteri oggettivi e controllabili da tutti. Ciò sarebbe assicurato, in particolare, dall’uso di strumenti come la blockchain che rendono pressoché impossibile la modifica e la manomissione dei dati.
Tutto ciò per sottolineare come l’utilizzo delle criptovalute può prestarsi ad un uso distorto e dunque non può non pensarsi all’adozione di misure correttive del sistema in grado di prevenire ovvero contrastare tale rischio.
Quali sono i rimedi, la “medicina” in grado di contrastare tali minacce?
Certamente risultano fondamentali le previsioni, introdotte innanzitutto a livello normativo, dirette ad assicurare l’identificabilità dei soggetti che utilizzano tali strumenti nelle transazioni finanziarie, nonché la tracciabilità delle stesse.
Ci riferiamo in particolare, nell’ambito della normativa di prevenzione del riciclaggio e di contrasto del finanziamento del terrorismo, alla IV e V Direttiva direttiva antiriciclaggio, recepite in Italia, rispettivamente, dai D.Lgs. n. 90/2017 e D.lgs. n. 125/2019) che a livello europeo, hanno introdotto la definizione di valuta virtuale nonché l’obbligo per i prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale nonché per i prestatori di servizi di portafoglio digitale di identificare i clienti, monitorare le transazioni e segnalare le operazioni sospette alle Unità di informazione finanziaria istituite nei singoli Stati membri.
Le organizzazioni internazionali (GAFI), le autorità europee e quelle nazionali hanno da tempo evidenziato la significativa esposizione degli strumenti di valuta virtuale ai rischi di riciclaggio e finanziamento del terrorismo. Richiamiamo in particolare la comunicazione dell’Unità di informazione finanziaria del 28 maggio 2019 specificamente indirizzata a riportare l’attenzione degli operatori sull’utilizzo anomalo delle valute virtuali: in tale comunicazione infatti si richiede di prestare massima attenzione nell’individuazione di operazioni sospette connesse con le valute virtuali evidenziando, a tale scopo, alcuni profili comportamentali ritenuti “a rischio” sulla base della propria esperienza in materia di analisi delle segnalazioni di operazioni sospette ricevute.
Se, ovviamente, tali indicazioni sono riferibili innanzitutto all’operatività dei prestatori di servizi relativi all’utilizzo di valuta virtuale nonché dei prestatori di servizi di portafoglio digitale, nondimeno la comunicazione si rivolge a tutti i destinatari del decreto legislativo n. 231/2007. Come noto, nell’ambito di tale normativa di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo, un ruolo di collaborazione attiva è attribuito anche ai professionisti dell’area giuridico-economica – tra cui anche i commercialisti – e ai revisori legali, destinatari degli obblighi di adeguata verifica dei clienti, di conservazione dei dati e informazioni nonché di segnalazione di operazioni sospette di celare finalità di riciclaggio ovvero di finanziamento del terrorismo.
Ciò implica per il professionista il dovere di conoscere la propria clientela e di verificarne l’operatività in modo da individuare il livello di rischio associabile al singolo cliente e alla specifica prestazione professionale valutando la coerenza delle prestazioni richieste con il profilo del cliente stesso. Pertanto, con specifico riferimento all’utilizzo delle criptovalute, laddove nell’ambito della richiesta di prestazione il professionista “incappi” in operazioni effettuate con l’utilizzo di tali mezzi, questi è chiamato a effettuare una attenta valutazione della rischiosità nei termini appena descritti, in modo da:
– astenersi dall’instaurare, eseguire ovvero proseguire la prestazione professionale nonché
– valutare se vi siano motivi di sospetto ai fini di effettuare la relativa segnalazione all’Unità di Informazione Finanziaria.
Ciò detto, ci preme osservare ancora che le recenti modificazioni intervenute nella normativa europea di prevenzione del riciclaggio di denaro e finanziamento al terrorismo, (che ha indubbiamente il merito di aprire la strada ad un effettivo controllo e monitoraggio del nuovo mercato delle criptovalute) non esauriscono l’ambito di intervento in cui è opportuno disciplinare e regolamentare l’utilizzo di valute virtuali.
Se, infatti, come evidenziato, è certamente vero che la preoccupazione maggiore delle Autorità finanziarie internazionali ed europee, con riferimento alle valute digitali, è il loro possibile utilizzo a tali fini criminosi, non si deve dimenticare che l’uso delle tecnologie sottese alle criptovalute può, giocare un ruolo fondamentale anche in altri importanti ambiti (come ad esempio nell’ambito dell’azione della pubblica amministrazione).
Per introdurre queste innovazioni, come già evidenizato è necessario un sistematico intervento normativo che definisca con chiarezza tali strumenti e ne disciplini attentamente l’utilizzo.
Come si vede, dunque, gli scenari che si aprono sono davvero tanti e le possibili conseguenze all’utilizzo di tali strumenti virtuali possono avere cadute molto positive, come anche molto negative sul sistema finanziario, economico e sociale a livello globale.
Cosa possiamo fare come professionisti e, in particolare come commercialisti?
Innanzitutto siamo chiamati a osservare le normative di prevenzione e di contrasto di settore, e questo è indubbio. Ma anche laddove la legge non ci richieda di effettuare una valutazione della situazione che ci si presenta, siamo tenuti deontologicamente a improntare la prestazione professionale ai doveri di integrità, correttezza nonché al dovere di agire nell’interesse pubblico al corretto esercizio della professione.
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