Nel migliore dei casi ci vorrà ancora del tempo. Parecchio tempo. Travolti come tutti gli italiani da una valanga di dati spesso contraddittori e confusi sull’andamento dell’economia del nostro Paese, i commercialisti dicono la loro sulla possibilità che la devastante crisi economica che abbiamo vissuto negli ultimi anni possa cominciare a dirsi finita.

E interrogati da un sondaggio della Fondazione nazionale della categoria per Press, mettono nero su bianco sentimenti e giudizi precisi che delineano il punto di vista di una professione immersa tutti i giorni nella realtà piena di difficoltà delle imprese italiane. Quello che ne viene fuori è un quadro della situazione economica fatta di luci e ombre, seppure con una decisa prevalenza di queste ultime e un’unica certezza: la ripresa, quella stabile e duratura, ancora non c’è e faticherà ad essere percepita anche nei prossimi mesi. Perché, se la categoria sembra apprezzare alcune delle scelte di politica economica e del lavoro compiute dall’esecutivo negli ultimi mesi, taglio dell’Irap e Jobs act in testa, è altrettanto vero che per la stragrande maggioranza degli interpellati, quelle stesse scelte, in un quadro economico ancora stagnante, finiranno per non produrre effetti.

Insomma, la categoria sembra confermare il punto di vista di alcuni autorevoli commentatori che, dai loro centri studi e dalle colonne dei quotidiani (si pensi solo al puntiglioso lavoro di scavo sui numeri reali dei nuovi occupati portato avanti da Luca Ricolfi su Il Sole 24 Ore, il giornale di Confindustria, in aperta polemica con premier e ministero del Lavoro) invitano quantomeno alla prudenza. Nel balletto delle cifre che in queste settimane oscillano pericolosamente tra eccessivi entusiasmi e docce fredde, la professione propende per un atteggiamento più che cauto. Se non nero, i commercialisti sembrano vedere almeno grigio.

Per il 63% del campione interpellato, ad esempio, la situazione economica italiana è peggiorata all’inizio del 2015 rispetto ai sei mesi precedenti e per il 28% peggiorerà ancora nel prossimo semestre, contro il 21% che si aspetta un miglioramento. Sebbene, come precisa Tommaso Di Nardo, ricercatore della Fondazione nazionale Commercialisti e responsabile del sondaggio, «per quanto il sentimento sia indubbiamente negativo, è comunque opportuno ricordare che questa è la prima ricerca da noi svolta su tali temi e non è quindi ancora possibile effettuare confronti per stabilire se esso sia effettivamente migliorato o peggiorato». Basta considerare che a marzo il clima di fiducia dei consumatori italiani calcolato dall’Istat è salito a 110,9 da 107,7 in un quadro in cui il saldo tra i giudizi positivi e quelli negativi sulla situazione economica è passato da -71 a -57. Secondo il clima di fiducia dei commercialisti lo stesso saldo a marzo è risultato pari a -58,6. «Un dato che» sottolinea ancora Di Nardo «non si discosta poi molto da quello dell’Istat».

I giudizi del campione si fanno però molto più netti se rapportati alle piccole e medie imprese. Per il 73%, infatti, la loro situazione è peggiorata e per il 33% peggiorerà ancora, contro uno striminzito 17% che prevede un miglioramento nei prossimi sei mesi. Negativo, ma più contenuto, il parere sulla propensione agli investimenti e alle aspettative degli imprenditori: per il 28% del campione diminuiranno, contro il 18% che prevede un miglioramento. Il dato, sempre negativo, aumenta sensibilmente in relazione all’ambiente economico complessivo in cui operano le pmi (-69,8) e, soprattutto, ai costi e all’efficienza della burocrazia (-79,5) per raggiungere il picco per quanto concerne il sistema fiscale italiano (-83,8). Restano negativi, ma con percentuali più contenute, i giudizi relativi alle condizioni di accesso al credito delle pmi (-59,9) e alla situazione del mercato del lavoro (-30,9). Per il tessuto delle piccole e medie imprese diffuso su tutto il territorio nazionale si tratta di percentuali da vero SOS che «nel quadro congiunturale attuale in cui si parla di primi timidi segnali di ripresa» sottolinea Di Nardo «agli occhi dei commercialisti i piccoli operatori economici appaiono ancora tagliati fuori, in attesa di un consolidamento della ripresa che molto probabilmente sarà posticipato al 2016 o, nella migliore delle ipotesi, agli ultimi mesi del 2015».

Del resto, quello della professione sulle piccole e medie imprese è un osservatorio davvero privilegiato. «I commercialisti» afferma il presidente della Fondazione nazionale Giorgio Sganga «assistono in maniera continuativa oltre 3 milioni di piccole e medie imprese, la cui attivitè dipende prevalentemente dal mercato interno. In Italia, il 95% delle aziende ha meno di 9 addetti, occupa il 47% di addetti totali e genera il 31% del valore aggiunto complessivo». Una base produttiva essenziale per lo sviluppo del Paese e che in questo momento, spiega ancora Sganga, «come emerge in modo netto dal nostro sondaggio, opera in condizioni molto difficili, sia per la crisi del mercato sia per la mole eccessiva di adempimenti amministrativi e fiscali. I commercialisti», prosegue, «sono al fianco delle pmi e lo fanno con grandi sacrifici e ottemperanze che aumentano senza un pari riconoscimento economico. Al Paese, secondo il presidente della Fondazione, «servono sburocratizzazione, agevolazioni per il credito bancario e un rafforzamento delle misure fiscali per le imprese. Crediamo sia utile ampliare provvedimenti come quelli che hanno riguardato l’Irap e Garanzia giovani, in modo da renderli più aderenti alle concrete esigenze dei destinatari».

Proposte di politica fiscale, quelle accennate da Sganga, che provano a fornire risposte alle criticità evidenziate dal sondaggio che, in tema di politiche economiche adottate dal governo, non lascia spazio a dubbi: per oltre l’85% del campione il loro insieme non è sufficiente a rilanciare l’economia italiana. Anche se, di fianco a un dato tanto inappellabile, ce ne sono altri più in chiaroscuro. Ad esempio, a fronte di un giudizio negativo sull’efficacia del bonus Irpef (33,8% inefficace contro 23,8% efficace) se ne registra uno positivo sul taglio Irap (19,9% inefficace contro 45,6% efficace). Positivi anche i pareri sul nuovo contratto a tempo determinato (19,4% inefficace contro 38,4% efficace) e sul nuovo contratto di apprendistato (19,2% inefficace contro 31,6% efficace). Bocciati, invece, Garanzia giovani (31,1% inefficace contro 23,6% efficace) e il rafforzamento Ace (26,1% inefficace contro 21% efficace). Leggermente positivo il saldo relativo ai giudizi sugli incentivi per le reti di imprese innovative (25% inefficace contro 28,5% efficace) e un po’ più alto per il rafforzamento del fondo centrale di garanzia per le pmi (20,8% inefficace contro 33,2% efficace). Promossa, invece, la riduzione del costo dell’energia per le pmi (17,6% inefficace contro 48,9% efficace). Un coacervo di provvedimenti che, al netto di pareri spesso positivi, non riesce comunque a segnare, per i professionisti economici, il tanto atteso cambio di marcia.

Giudizio in qualche modo simile a quello che emerge anche sul Jobs act. Apprezzato dai più, resterà inefficace senza una ripresa della domanda interna e in assenza di investimenti. Per i commercialisti, in sostanza, sebbene il 50,5% delle pmi valuti con interesse il nuovo contratto a tutele crescenti, la stragrande maggioranza di loro sarebbe ancora restia a modificare i propri piani di assunzione, vista la perdurante crisi della domanda. Nel complesso, per l’83,3% degli intervistati il nuovo contratto risulterebbe in fin dei conti inefficace e per il 63,4% produrrà essenzialmente stabilizzazioni di posizioni lavorative precarie. Non nuovi posti di lavoro, quindi. Dovesse andare davvero così, non si tratterebbe certo di una buona notizia per un Paese che proprio sul Jobs act ha investito moltissimo per iniziare a scalfire le drammatiche percentuali nazionali sulla disoccupazione.
Che il clima economico complessivo resti difficile, lo si capisce ancora meglio nella parte del sondaggio dedicata al mercato dei servizi professionali dei commercialisti. È qui che l’umore della categoria volge più chiaramente al nero. Per gli intervistati, i clienti stabili diminuiscono nel 45,4% dei casi contro l’11,5% di aumenti, gli “incarichi professionali” diminuiscono per il 53% del campione contro il 9,7% che dichiara crescite, mentre gli incarichi di consulenza specialistica diminuiscono per il 45,1% contro il 15,1% di aumenti. Un sentiment negativo decisamente in linea con i dati sul calo dei redditi fedelmente fotografato dagli ultimi rapporti annuali sulla professione realizzati dalla Fondazione nazionale dei Commercialisti. Negli anni dal 2007 al 2012 – certifica il centro studi della categoria – i loro redditi si sono ridotti del 1,1% in termini nominali e addirittura del 12,5% in termini reali. Una situazione di seria difficoltà? che induce i commercialisti a dire che la ripresa, per il momento, può attendere.

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