Lo spunto per la redazione delle presenti riflessioni ci è stato fornito dalla consultazione pubblica posta in essere dal ministero dell’Economia e delle Finanze e dal progetto di decreto attualmente all’esame della Camera, in vista dell’attuazione della nuova direttiva europea in tema di bilanci. Detta consultazione è stata motivata, fra l’altro, dal fatto che l’esercizio del recepimento poteva comportare difficoltà – dovute alla presenza di numerose opzioni – non solo di ordine tecnico ma soprattutto relative alle scelte di fondo circa la definizione del futuro ordinamento contabile, in particolare riferite ai diversi segmenti dimensionali delle imprese.

Come è noto, la nuova direttiva dovrebbe essere a breve recepita negli ordinamenti nazionali. Ciò potrebbe rappresentare la conclusione di un lungo processo, iniziato nell’ottobre del 2003, allorché lo IASB intraprese un proprio progetto di estensione degli standard internazionali alle PMI europee allo scopo di armonizzare le norme riguardanti i loro bilanci. Un momento essenziale di tale processo è riscontrabile nel marzo 2010 quando, a conclusione di un serrato dibattito concernente l’opportunità di emanare principi contabili obbligatori per le PMI, l’Unione Europea lanciò la “Consultation on the International financial reporting standard for small and medium – sized entities”. Il risultato della consultazione ha dimostrato che la maggioranza degli interlocutori riteneva inopportuna l’emanazione di principi contabili per le PMI che non rispettassero le condizioni economiche, storiche e culturali dei vari paesi membri.

Ciò ha portato all’emanazione della nuova direttiva, recante la modifica della direttiva 2006/43/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e l’abrogazione delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE del Consiglio (IV e VII direttiva). Essa tiene conto, come si legge nelle note esplicative iniziali, della comunicazione dal titolo “Think small first”, emanata nel giugno 2008 e rivista nel febbraio 2011; in essa si riconosce il ruolo centrale svolto dalle PMI nell’economia dell’UE. Poco dopo, nel marzo 2011, il Consiglio europeo ha esortato gli Stati membri a ridurre – per le imprese di minori dimensioni – gli oneri amministrativi derivanti dalla normativa sul bilancio.

L’obiettivo della semplificazione costituisce la più importante novità rispetto alla precedente direttiva e non è difficile comprenderne le motivazioni: la perdurante crisi economica mondiale, che in Europa appare con particolare gravità, ha suggerito di impostare le regole riguardanti i bilanci delle PMI in modo tale da renderle meno onerose possibili per la categoria economica che contribuisce più di tutte le altre al prodotto interno lordo del continente.
Nelle considerazioni generali introduttive alla direttiva, vengono descritti i punti su cui essa si focalizza come, ad esempio, la necessità di un equilibrio tra gli interessi dei destinatari dei bilanci e l’interesse delle imprese a non essere eccessivamente gravate da obblighi in materia di informativa. Inoltre viene precisato che la direttiva dovrebbe assicurare l’armonizzazione in tutta l’Europa dei criteri di individuazione della categoria delle piccole imprese, allo scopo di mantenere i loro oneri amministrativi entro limiti proporzionati alle dimensioni aziendali. Per raggiungere questo obiettivo, vengono stabiliti dei parametri oggettivi delle dimensioni delle imprese, connessi all’entità dell’attivo dello stato patrimoniale, al volume dei ricavi ed al numero di dipendenti occupati in media durante l’esercizio.

L’obiettivo della semplificazione amministrativa per le piccole imprese è perseguito attraverso il divieto per gli Stati membri di prescrivere obblighi amministrativi relativi al bilancio al di fuori di quelli espressamente previsti come minimi dalla direttiva.
Accanto al suddetto fine primario, vengono riconfermati appieno i principi ispiratori della IV e della VII direttiva: di particolare importanza è il fatto che viene riportata esattamente la formula della “clausola generale”, che sancisce l’esistenza di una stretta gerarchia delle norme riguardanti il bilancio (art. 4); inoltre, viene mantenuto, fra i principi generali, quello della prudenza, intesa come disparità di trattamento (art. 6, lett. c).

Come detto, sono due i punti che determinano le linee guida dettate dall’Unione europea e rappresentano una netta scelta di campo: in primo luogo, al termine di un ampio dibattito sull’opportunità di adottare, per le imprese di minori dimensioni, principi contabili internazionali derivati dagli IFRS, l’Unione ha scelto una soluzione diversa, che privilegia l’obiettivo della semplificazione amministrativa; in secondo luogo, attraverso la conferma dell’impostazione a suo tempo data con la IV e la VII direttiva, ha ribadito la presenza di norme declinate secondo una stretta gerarchia: attraverso l’obbligo di integrazione e quello di deroga, tutte le altre norme riguardanti il bilancio sono applicabili se ed in quanto in linea con la “rappresentazione chiara, veritiera e corretta”. Inoltre, quasi tutti i principi generali di bilancio sono ora inderogabili, per cui le norme relative alla valutazione ed alla rappresentazione delle singole poste di bilancio devono essere applicate in modo conforme a tali principi generali. Trattasi, quindi, di una impostazione alternativa rispetto a quella degli IAS/IFRS, per i quali, come è noto, il contenuto dei singoli standard prevale su quello del Framework.

Di particolare interesse è il confronto fra l’art. 6 della nuova direttiva e l’art. 31 della precedente: le nuove disposizioni hanno profondamente modificato la possibilità di deroga ai principi di redazione del bilancio, che ora è riservata agli Stati membri in sede di recepimento. Nel c. 2 dell’art. 31, infatti, era prevista la possibilità per i redattori del bilancio di derogare in casi eccezionali a tutti i “principi generali” contenuti nel comma 1 del medesimo articolo, che corrispondono quasi integralmente ai principi di redazione del bilancio previsti nei numeri da 1 a 6 dell’art. 2423-bis del codice civile. Fra le differenze notiamo che il d.lgs. 127/91, nel recepire la norma, non ha inserito fra i principi di redazione quello della continuità dei bilanci (c. 1, lett. f dell’art. 31), secondo cui “lo stato patrimoniale di apertura di un esercizio deve corrispondere allo stato patrimoniale di chiusura dell’esercizio precedente” ed ha limitato la possibilità di deroga, in casi eccezionali, al solo principio n. 6, secondo il quale “i criteri di valutazione non possono essere modificati da un esercizio all’altro”.

Le nuove disposizioni europee, contenute nell’art. 6, hanno riformulato le disposizioni riguardanti la possibilità di deroga: è stato completamente rimosso il riferimento a casi eccezionali. Inoltre, tale possibilità è stata limitata, in casi specifici, alla compensazione di partite (c. 1, lett. g), al principio di prevalenza della sostanza sulla forma (c. 1, lett. h) e alla possibilità di trascurare gli obblighi di rilevazione, valutazione, ecc. se i loro effetti non sono rilevanti (c. 1, lett. j). Da ciò deriva che tutti gli altri principi generali risultano attualmente inderogabili, fermo restando il ricorso all’obbligo di deroga prescritto dalla clausola generale, contenuta nell’art. 4 della nuova direttiva.

In conclusione, la scelta dell’Unione fornisce una soluzione prudenziale, finalizzata a confermare l’attuale struttura delle normative nazionali in tema di bilancio, nell’ottica della semplificazione amministrativa per le imprese di minori dimensioni. Ciò può avere significative ricadute, connesse soprattutto al divieto imposto agli Stati membri di rendere obbligatori per le piccole imprese impegni contabili eccedenti quelli minimi prescritti dalla direttiva.
A mero titolo esemplificativo, si pensi al fatto che, fra i prospetti obbligatori, non figura il rendiconto finanziario; inoltre, ai sensi del nuovo art. 6, c. 1, lett. e), non sarà più consentito intervenire sui saldi di apertura dello stato patrimoniale, neppure in casi eccezionali; infine, presumibilmente, non sarà possibile chiedere alle piccole imprese di adottare meccanismi particolarmente complessi e dispendiosi per la verifica dell’eventuale “valore durevolmente inferiore” degli immobilizzi.
Riteniamo che queste e molte altre considerazioni saranno oggetto di approfondimento nei prossimi mesi da parte della dottrina e della prassi.

di Gianfranco Capodaglio e Vanina Dangarska

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