In questi giorni il tema delle valutazioni di convenienza per i soggetti interessati ad accedere alla procedura di emersione delle attività finanziarie detenute all’estero sta assumendo via via sempre maggiore rilevanza.
La questione coinvolge ovviamente anche i professionisti, con particolare attenzione alle disposizioni relative alla normativa antiriciclaggio da applicare nell’ambito della suddetta tipologia di assistenza al contribuente.
Agli addetti ai lavori in materia di assistenza tributaria non sfugge come il legislatore della Legge 186/2015 abbia fatto riferimento alle consuete norme che disciplinano in generale tutti i procedimenti tributari e tra queste, a titolo di esempio, l’accertamento mediante adesione, l’invito al contraddittorio, la dichiarazione del contribuente, il ricorso, ecc.
Tali procedimenti tributari (alcuni dei quali inseriti nelle disposizioni normative che disciplinano il processo tributario), per le norme che vengono richiamate, hanno indiscutibilmente carattere giudiziario (o pre-giudiziario) poiché gli stessi, in materia di antiriciclaggio, devono essere intesi ad ampio raggio, ricomprendendo ogni giurisdizione e quindi anche quella amministrativa, così come risulta dalla nota interpretativa alla raccomandazione 23 del G.A.F.I., con la seguente espressione: “It is for each jurisdiction to determine the matters that would fall under legal professional privilege or legal professional secrecy”.
Inoltre è lo stesso legislatore che, nell’ambito della procedura di voluntary disclosure, ha voluto rinviare alle disposizioni normative relative all’accertamento per adesione, e quindi a tale istituto del procedimento tributario è necessario ispirarsi.
Di conseguenza l’attività svolta dal professionista è una normalissima attività di garanzia all’“equo-contraddittorio” per il soggetto che ai sensi della Legge 186/2015 ha intenzione di definire il rapporto tributario con il fisco, accettando i contenuti dell’invito a comparire, nel quale è rappresentata l’ipotesi di pretesa fiscale e i motivi che la determinano.

Non c’è dubbio, che la ratio della scelta legislativa sia quella di ottenere per entrambe le parti reciproci “vantaggi sia a favore del contribuente che dell’Amministrazione finanziaria”, poiché per il contribuente i vantaggi saranno nell’ordine di una riduzione delle sanzioni e di misure detentive come la reclusione, mentre per l’Amministrazione Finanziaria i vantaggi consistono “nella definizione in tempi più rapidi della pretesa tributaria, avendo acquisito in via preventiva l’assenso del contribuente ed evitando, in tal modo, la fase del contraddittorio”.
Nel caso della procedura di collaborazione volontaria, è lo stesso Ministero dell’Economia e Finanze nella sua circolare del 9/01/2015 a porre in risalto che “la legge in oggetto è incentrata sulla spontanea collaborazione del contribuente che può chiedere all’amministrazione finanziaria di regolarizzare i capitali non dichiarati e detenuti all’estero nonché di sanare l’inadempienza degli obblighi dichiarativi fiscali anche in assenza di violazione delle disposizioni sul monitoraggio fiscale. Sul presupposto di tale piena ed effettiva collaborazione prestata dal contribuente, la legge introduce l’esclusione della punibilità penale per taluni reati e riduce l’entità di alcune sanzioni pecuniarie amministrative, limitatamente alle condotte relative agli imponibili, alle imposte, alle ritenute e alle attività oggetto di collaborazione volontaria”.
Il messaggio che l’Amministrazione Finanziaria vuole lanciare è pertanto piuttosto semplice, ma efficace: le mutazioni del sistema geopolitico internazionale stanno premendo in una direzione ben precisa, quella della trasparenza finanziaria, quindi è di tutto interesse per il contribuente riportare i capitali detenuti all’estero nel segno della trasparenza nazionale in modo che sia possibile evitare un “contenzioso”, o per dirla in maniera più consona all’argomento, “che si eviti un procedimento giudiziario sia innanzi al Giudice tributario che innanzi al Giudice penale per talune condotte”.
Quanto appena evidenziato sottolinea con chiarezza, almeno nella scelta legislativa, come la procedura di collaborazione volontaria non appaia come un procedimento tributario del tutto nuovo per la definizione delle imposte e delle sanzioni per talune violazioni, semmai è nuovo l’oggetto della definizione, che è rappresentato dalla regolarizzazione ed emersione delle attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori del territorio dello Stato.

Lo scopo e la natura di tale assistenza tributaria richiesta dal contribuente al professionista è quello di dichiarare le somme detenute all’estero, di pagare le imposte dovute, ottenendo uno sconto sulle sanzioni e l’esclusione dalla punibilità penale per talune condotte in materia tributaria, in un procedimento improntato alla massima trasparenza.
Di sicuro non potrà essere qualificata come sopra l’attività di assistenza del professionista che invece assume l’incarico di trasferire le somme o le attività detenute all’estero da un Paese all’altro.
Ma allora, il professionista che assiste il cliente nell’evitare un procedimento svolge una vera e propria attività di assistenza giudiziaria, così come prevista dall’art. 12, comma 2, del D.Lgs 231/2007 ?
La natura giudiziaria, nei casi in cui il professionista svolga la consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento, è stata confermata dall’UIC (oggi UIF) in una sua risposta del 27/03/2007 laddove ha osservato che “anche la consulenza prestata al cliente sull’opportunità di intentare o meno una causa rientra nell’ambito di tale esenzione atteso il carattere giudiziario che essa riveste”.
La casistica di esenzione dalla segnalazione di operazioni sospette, prevista esclusivamente per i professionisti (e non per banche ed altri soggetti destinatari della normativa antiriciclaggio), all’art. 12, comma 2, del D.Lgs 231/2007, si compone di tutta una serie di situazioni in cui il legislatore, utilizzando la locuzione “o”, prevede determinate attività alternative tra di loro.

Infatti il legislatore, in modo chiarissimo, stabilisce che il professionista non è tenuto ad effettuare la segnalazione di operazioni sospette per le informazioni che riceve dal proprio cliente, o che ottiene in altro modo, nel corso dell’esame della posizione giuridica del loro cliente o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento.
Altrettanto chiara è la portata di una ulteriore esenzione dalla segnalazione di operazione sospetta contenuta all’art. 12, comma 2, del D.Lgs 231/2007, in cui il legislatore stabilisce che non vi è obbligo di segnalare l’operazione sospetta per le informazioni che il professionista riceve prima, durante o dopo il procedimento stesso, sia direttamente dal proprio cliente sia ottenute in altro modo, quando svolge la consulenza sull’eventualità di intentare o evitare un procedimento, anche tramite una convenzione di negoziazione assistita da uno o più avvocati ai sensi di legge.
In quest’ultimo caso il legislatore nazionale, recependo le suddette indicazioni di matrice europea ed internazionale, stabilisce che l’esenzione dalla segnalazione di operazione sospetta per il professionista si applica addirittura a tutte quelle informazioni assunte nei casi in cui il procedimento giudiziario nemmeno sussista, ovvero a situazioni in cui lo scopo della prestazione professionale sia proprio quello di evitarlo, prevenirlo o escluderne le condizioni affinché lo stesso insorga, non essendo vincolata la predetta esenzione alla necessaria esistenza di un procedimento giudiziario.
Tali indicazioni normative contenute all’art. 12, comma 2, del D.Lgs 231/2007 trovano impulso e genesi nella normativa comunitaria ed internazionale, essendo il diritto alla difesa e all’equo processo un principio consolidato in ogni ordinamento giuridico e, come tale, meritevole di ogni attenzione e rispetto da parte di tutti gli Stati, che mai potrebbero autonomamente derogare né fornire indicazioni – ancorché in via interpretativa – per abbassare, ridurre o eliminare un principio fondamentale della libertà degli individui.
In effetti, la Direttiva 2005/60/CE, all’art. 20 evidenzia che l’esenzione dalla segnalazione di operazione sospetta si applica nei casi sopra richiamati, a meno che il professionista partecipi attivamente alle attività di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, o nel caso in cui la consulenza sia fornita a scopo di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo o il professionista sia a conoscenza del fatto che il cliente richieda esplicitamente la consulenza a scopo di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo.

In ogni caso l’attività legata alla voluntary disclosure non rimane sprovvista di “sentinelle”, poiché il sistema non impedisce che altri soggetti diversi dai professionisti (nei casi previsti) debbano invece effettuare a seconda dei casi una segnalazione di operazione sospetta o addirittura una comunicazione per notizia di reato.
Non dimentichiamo che la specifica esenzione, alle condizioni previste dall’art. 12, comma 2, del D.Lgs 231/2007, riguarda soltanto i professionisti, e non invece altri soggetti destinatari della normativa antiriciclaggio.
Infatti, il procedimento previsto dalla Legge 186/2014, essendo improntato alla piena trasparenza, prevede una serie di meccanismi sia per lo scambio di informazioni che per l’attivazione della notizia di reato ex art. 331 c.p.p., da parte dei soggetti obbligati, in presenza di taluni fatti o di determinate notizie di rilevanza penale.
Con riferimento alla denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio ai sensi dell’art. 331 c.p.p., l’Agenzia delle Entrate avrà l’obbligo di riferire all’autorità giudiziaria tutti i fatti penalmente rilevanti di cui verrà a conoscenza in seguito all’adesione del contribuente, ovviamente evidenziando come talune condotte dell’autore, con il perfezionamento della normativa sulla voluntary disclosure, non potranno più essere punibili.

Ne consegue che l’obbligo di denuncia previsto ex art. 331 c.p.p., e non derogato dalla Legge 186/2014, porterà l’Agenzia delle Entrate a comunicare tutti gli elementi in suo possesso aventi rilevanza penale al fine di informare e quindi di consentire l’eventuale azione penale da parte dell’amministrazione giudiziaria.

Please follow and like us:
Pin Share
Leggi anche

STAI CERCANDO