L’introduzione del MOSS (Mini One Stop Shop) è avvenuta nel nostro Paese ad opera del D. Lgs. 31 marzo 2015 n. 42, che ha dato attuazione alla disciplina recata dalla Direttiva 2008/08/CE in materia di territorialità IVA delle prestazioni di servizi rese tramite mezzi elettronici, di telecomunicazione e tele-radiodiffusione effettuate nei confronti dei consumatori finali, quindi a valere sulle sole operazioni B2C “Business to Consumer”.

Appare preliminarmente opportuno riepilogare brevemente i contenuti essenziali della novella normativa, la quale prevede che, con decorrenza 1 gennaio 2015, il soggetto prestatore si trova nella necessità di applicare l’IVA su detti servizi in funzione delle regole vigenti nel Paese di stabilimento del committente.
Al fine di evitare in capo ai prestatori le complicazioni derivanti dall’esigenza di aprire posizioni IVA in tutti gli Stati membri nei quali risiede la propria clientela privata, è stata introdotta la facoltà di aderire ad un regime speciale, denominato appunto MOSS, grazie al quale gli obblighi IVA possono essere assolti nel solo Paese del prestatore, utilizzando un apposito portale allestito dalla propria Amministrazione finanziaria.
Sarà poi compito dello Stato di stabilimento dell’operatore comunitario di distribuire ai vari Stati membri di consumo l’ammontare dell’IVA loro spettante.

Tra le principali semplificazioni apportate dal nuovo regime, si segnala l’esonero dagli obblighi strumentali di certificazione dei corrispettivi mediante rilascio di fattura, scontrino o ricevuta fiscale, disciplinato dal D.M. 27 ottobre 2015.
Il confronto svoltosi nel corso di una recente tavola rotonda organizzata dalla FEE ha consentito di porre in evidenza i diversi punti di vista provenienti da rappresentanti delle pubbliche amministrazioni, associazioni di imprenditori, uomini politici, professionisti dell’area fiscale e rappresentanti della Commissione UE. Il quadro emerso è sostanzialmente positivo, ma non privo di asperità, comunque superabili, che si mostrano più marcate in taluni Stati piuttosto che in altri.

Va certamente salutata con favore la circostanza che tutti gli obblighi strumentali (inclusi dichiarazione periodica e pagamento dell’imposta) sono adesso concentrabili in un unico Stato, quando invece in precedenza si doveva obbligatoriamente procedere separatamente in ciascuno Stato membro all’interno del quale erano localizzati i rispettivi clienti, con l’aggravante che, nei settori in questione, caratterizzati da attività intangibili, spesso i committenti erano frammentati in molteplici Stati membri, talvolta in tutti e ventotto.
D’altro canto, però, è anche vero che, partendo dal presupposto che le dichiarazioni periodiche inviate dai prestatori possono contenere soltanto l’IVA a debito, scorporata dalle prestazioni di servizi effettuate sulla base delle aliquote IVA applicate negli Stati di consumo, mentre l’IVA a credito, scontata sugli acquisti, deve essere esposta nella dichiarazione tradizionale che viene presentata nel proprio Stato di stabilimento, tendono ad emergere posizioni creditorie IVA che i vari Stati membri gestiscono con modalità diverse.

Proprio nel nostro Paese, nello specifico, altri strumenti recentemente introdotti con l’obiettivo di combattere le frodi nel campo dell’IVA, quali il Reverse Charge e lo Split Payment, hanno portato con loro la sgradita conseguenza di ingenti crediti IVA, la cui richiesta a rimborso è legata a tempi decisamente più lunghi in Italia rispetto agli altri Stati membri.
Adesso, la particolare procedura appena descritta non fa che aggiungere sale alle ferite, introducendo un altro strumento che determina la stessa sgradita conseguenza.
Ecco perché sarebbe più che opportuno fissare termini perentori, per l’effettuazione dei rimborsi, validi in tutti gli Stati membri, in modo da rendere uniforme ed equilibrata la competizione tra soggetti IVA all’interno della UE.
Oggi non è così, se pensiamo che nel nostro Paese, ad esempio, i tempi del rimborso IVA differiscono addirittura tra regione e regione in funzione della velocità nel trasferimento di fondi dal centro alla periferia.

Un altro aspetto che potrebbe essere meglio affrontato e risolto è quello relativo all’obbligo (attualmente in vigore) di applicare, oltre alle aliquote IVA, le regole esistenti nei vari Stati di residenza dei committenti anziché quelle in vigore nello Stato di stabilimento del prestatore in relazione alla fatturazione, regimi particolari quale quello di IVA per cassa, esenzioni ed esclusioni soggettive ed oggettive dall’IVA, modalità di effettuazione delle verifiche e degli accertamenti da parte delle autorità locali, procedura da seguire per il recupero dell’IVA sui crediti non esigibili, entità delle sanzioni, etc.
Nulla quaestio per le aliquote, in quanto, con l’applicazione delle aliquote IVA degli Stati dei committenti, si blocca sul nascere qualsiasi tentazione di dumping fiscale mediante la fissazione di aliquote più attraenti che invitano le imprese a stabilirsi nello Stato “più accogliente”; ma è pur vero che si staglia nitida la difficoltà a relazionarsi con un set di regole diverso in ciascuno dei ventotto Stati membri, quando si potrebbe invece procedere alla fissazione di regole uniformi in tutto il perimetro UE, quantomeno sul piano degli obblighi strumentali sopra dettagliati, ovvero considerare l’applicazione delle regole vigenti nello Stato di stabilimento del prestatore.

Ancora, ci si chiede se non sia troppo esteso il termine di conservazione di tutta la documentazione entro i dieci anni a partire dalla fine dell’anno in cui l’operazione è stata effettuata, indipendentemente dal fatto che il soggetto passivo continui o meno ad avvalersi del regime (per inciso la documentazione da conservare è indicata all’art. 63 quater del Regolamento del Consiglio n. 967/2012).
Se guardiamo al nostro sistema legislativo, notiamo che lo stesso obbliga alla conservazione della documentazione sino al termine di decadenza dell’azione accertatrice da parte dell’Amministrazione finanziaria, fissata perentoriamente alla fine del quarto anno successivo alla presentazione della dichiarazione (termine esteso di un anno dalla Legge n. 208/2015).
In definitiva, emerge con sempre maggior forza, da un lato la prorompente ed incessante attività legislativa della Commissione UE nel campo dell’IVA e dall’altro la assoluta necessità, da parte del Consiglio nazionale dei commercialisti di partecipare attivamente già nella fase di costruzione delle norme piuttosto che in quella, molto più difficoltosa, di correzione delle stesse, con l’obiettivo di proteggere per quanto possibile le legittime aspettative dei professionisti dell’area economica, giuridica e contabile nonché delle imprese dagli stessi assistite.

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