L’applicazione della normativa antiriciclaggio di cui al d.lgs. 231/07 da parte dei professionisti, obbligati da ormai quasi dieci anni all’adozione delle misure ivi prescritte, è da sempre materia di acceso dibattito tra gli addetti ai lavori. In particolare, si discute della reale efficacia dei presidi imposti dalla legge ai fini del contrasto al riciclaggio ed al finanziamento del terrorismo, ma anche dei costi derivanti dalla compliance alla normativa. A ben vedere, la sintesi del dibattito risiede nell’esito di una analisi virtuale dei costi e dei benefici connessi al sistema antiriciclaggio, laddove la natura dei costi varia evidentemente da studio a studio, potendo spaziare dall’impiego di risorse umane (dipendenti, collaboratori) all’acquisto ed all’aggiornamento di un software *(archivio unico informatico) per l’adempimento degli obblighi di registrazione, fino all’eventuale gestione in *outsourcing degli adempimenti, nel qual caso al costo iniziale connesso all’adozione dei presidi deve necessariamente aggiungersi un canone periodico di “manutenzione”. A fronte di tale costo, la cui incidenza sarà presumibilmente crescente man mano che si passa da studi molto piccoli a realtà di dimensioni medio-grandi, è lecito chiedersi quale sia il beneficio derivante dalla corretta predisposizione delle misure imposte dalla legge. Come più volte ripetuto, se questa complessa impalcatura era stata concepita per indurre i professionisti a segnalare alle autorità di vigilanza le operazioni sospette poste in essere dai propri clienti, allora non vi è dubbio alcuno che lo scopo non sia stato raggiunto; in tal senso depongono i dati annualmente diffusi dall’Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia, dai quali emerge la scarsa incisività – rispetto al numero totale – delle segnalazioni provenienti dal mondo delle professioni. Nondimeno, l’adempimento degli obblighi antiriciclaggio è oggetto di grande attenzione da parte delle istituzioni preposte ai controlli, i cui accessi antiriciclaggio negli studi professionali, anche quando scaturiscono da un’indagine in corso sul cliente, finiscono per prendere di mira le omissioni o il non corretto adempimento da parte del professionista. Sotto quest’ultimo aspetto, è ben noto che il pesante sistema sanzionatorio individuato dal d.lgs. 231/07 punisce i professionisti sia per le omissioni “sostanziali”, come la mancata segnalazione di operazioni sospette, sia per quelle meramente procedurali, come l’omessa istituzione del registro antiriciclaggio o il non corretto adempimento degli obblighi di adeguata verifica e di registrazione. L’impatto economico delle sanzioni è stato, peraltro, aggravato dal recente intervento operato dal d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 8 (in vigore dallo scorso 6 febbraio) che, se da un lato ha condotto alla tanto attesa depenalizzazione delle sanzioni connesse alla violazione degli obblighi formali, dall’altro ha prodotto quale conseguenza il loro raddoppio negli importi minimi e massimi. Se questo è il quadro d’insieme, allora si potrebbe concludere che per il professionista l’unico reale beneficio della compliance risieda nella possibilità di superare indenne una verifica antiriciclaggio presso il proprio studio.
Quella descritta, tuttavia, è solo una visione parziale del problema.
La normativa antiriciclaggio muove da un intento assolutamente condivisibile, quello del contrasto alla criminalità economica in alcune delle sue più gravi manifestazioni, realizzando una vera e propria cooptazione del comparto delle professioni per finalità connesse alla tutela del pubblico interesse. In tal senso l’adozione di procedure formali, inizialmente solo “suggerita” dal legislatore, è oggi ritenuta imprescindibile anche alla luce di quanto previsto dalla recente direttiva comunitaria 849/2015 (la quarta in materia di antiriciclaggio), che obbliga gli Stati membri ad imporne l’implementazione da parte dei destinatari della normativa. Adeguata verifica della clientela, istituzione del fascicolo del cliente, registrazione delle informazioni, segnalazione delle operazioni sospette: il corretto adempimento di ciascuno di tali obblighi implica la predisposizione di vere e proprie procedure interne secondo modalità prestabilite, ma non analiticamente declinate dal legislatore. Quest’ultimo, infatti, si è limitato a stabilire i criteri generali, prescrivendo l’adozione di “idonei e appropriati sistemi e procedure in materia di obblighi di adeguata verifica, di segnalazione di operazioni sospette, di conservazione dei documenti, di controllo interno, di valutazione e gestione del rischio” (art. 3, comma 1, d.lgs. 231/07). La specificazione delle modalità operative è stata invece demandata ad una regolamentazione attuativa mai emanata: anche da tali considerazioni muove il recente Manuale delle procedure operative elaborato da un gruppo di lavoro interno alla Commissione di studi “antiriciclaggio” del CNDCEC. Si tratta di un documento dal taglio estremamente pratico, finalizzato a fornire ai professionisti alcune indicazioni necessarie per la corretta adozione delle procedure antiriciclaggio, ferma restando la necessità di personalizzare le medesime in base alle dimensioni ed alla struttura dello studio in cui devono essere applicate. In dettaglio, il Manuale fornisce un esempio di procedura per ciascuno degli obblighi previsti dalla normativa e, in più, estende le proprie indicazioni anche alla fase iniziale relativa alla gestione dell’incarico professionale, nonché a quella finale inerente al controllo interno allo studio per la verifica dell’efficacia delle procedure adottate.
Alla base di questo documento vi è, evidentemente, la convinzione che una corretta compliancealla normativa antiriciclaggio sia fondamentale per gli studi professionali. Ciò non esclude, peraltro, che in tutte le sedi opportune debba continuare ad evidenziarsi l’assoluta sproporzione tra gli obblighi imposti ai professionisti e l’utilità del sistema di prevenzione che ne prevede il coinvolgimento. Sotto questo aspetto, assumerà un’importanza cruciale la fase di recepimento delle recenti disposizioni comunitarie, potendo e dovendo queste ultime trovare attuazione in modo maggiormente coerente rispetto al contesto professionale di destinazione.
Dottore commercialista e revisore legale dei conti, con specializzazione universitaria in diritto commerciale. Già ricercatrice nell’area giuridica della Fondazione Nazionale Commercialisti e poi nel Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, dove attualmente svolge la propria attività nelle aree dell’ordinamento professionale e del diritto penale dell’economia (responsabilità amministrativa degli enti, normativa antiriciclaggio e normativa anticorruzione). Su tali materie svolge attività formativa e ha pubblicato negli anni numerosi contributi, sia in opere monografiche, sia in riviste specializzate
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