Lo scorso 15 marzo, i rappresentanti della Fondazione nazionale di ricerca dei commercialisti sono stati auditi dalla XI Commissione Lavoro pubblico e privato, previdenza sociale del Senato nell’ambito dell’indagine conoscitiva sui canali di ingresso nel mondo del lavoro e sulla formazione professionale dei giovani: stage, tirocinio e apprendistato.

La disoccupazione giovanile in Italia ha raggiunto livelli allarmanti. I dati rilevabili dalle statistiche Eurostat evidenziano che i cosiddetti “NEET”, ovvero i giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano, non lavorano e non sono impegnati in percorsi di formazione, sono peggiorati passando dal 22,1% del 2019 al 23,3% nel 2020.

Nonostante la compiuta analisi di tale fenomeno e dei possibili strumenti per contrastarlo richieda una riflessione ad ampio raggio tangente al sistema di politiche del lavoro nella sua interezza, la commissione ha limitato l’indagine agli istituti specifici che, quanto al diritto costituito, rappresentano per i giovani il principale canale giuridico di ingresso nel mercato del lavoro. Così, almeno, rispetto alle finalità dichiarate dalle norme di legge.

Il principale contributo fornito in commissione ha riguardato i profili problematici dei rapporti di tirocinio.

Sin dalla sua prima regolamentazione, la collocazione dei tirocini formativi e di orientamento è sempre stata a cavallo tra l’intervento formativo e quello di politica attiva del lavoro.

Contrariamente alla sua originaria vocazione, le esperienze recenti, testimoniano un frequente ricorso al rapporto di tirocinio come surrogato di un contratto di inserimento al lavoro giovanile, così mortificandone l’originaria vocazione formativa. In buona sostanza, il tirocinio risulta in molti casi un espediente nominalistico utile a mascherare rapporti di lavoro subordinato.

Di questo, nel recente passato, il Governo sembra già averne preso atto avviando un processo di rivisitazione della disciplina dei tirocini in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome attraverso la definizione di precise linee guida. Le regioni si sono impegnate a recepire nell’esercizio delle proprie competenze legislative le misure di contrasto all’utilizzo distorto del tirocinio introducendo nelle normative limiti numerici di contingentamento, limiti di durata, condizioni e divieti di attivazione, minimi di attribuzione dell’indennità di partecipazione.

Il carattere limitativo e condizionale delle nuove discipline regionali, però, ha contribuito a contrastare l’utilizzo patologico del tirocinio più sul piano quantitativo che qualitativo. L’impianto normativo non si è mostrato del tutto efficace nel garantire la rispondenza concreta tra progetto formativo e di orientamento dedotto in convenzione e attività effettivamente espletata dal tirocinante in corso di rapporto, con evidenti problemi di  qualificazione.

Il tirocinio, infatti, si realizza sulla base di un progetto formativo individuale concordato fra soggetto promotore, soggetto ospitante e tirocinante che definisce gli obiettivi formativi da conseguire nonché le modalità di attuazione.

Sul piano esclusivo della regolazione, i menzionati problemi di qualificazione del rapporto potrebbero ravvisarsi già in relazione al quadro definitorio. L’Accordo Stato-Regioni del 2017, menziona tre tipologie di tirocinio extra-curriculare (formativi, di orientamento, di inserimento/reinserimento lavorativo) ma da questo non ne fa discendere una tripartizione delle tipologie di tirocinio. Il superamento della differenziazione tipologica ha comportato l’assenza di diversificazione della disciplina del rapporto di tirocinio rispetto alla tipologia di soggetti destinatari, con uno sbilanciamento delle attivazioni in favore della categoria disoccupati/inoccupati. Stando all’ultimo
rapporto ANPAL/INAPP, pubblicato nel mese di maggio 2021, infatti, questa categoria di tirocinanti ha superato oltre 1.360.000 nel 2014-2019 su un totale di 1.968.828 tirocini attivati.

Questo potrebbe contribuire a spiegare la torsione funzionale impressa nella pratica all’istituto, utilizzato di frequente più per valutare le qualità personali e le competenze tecnico-professionali del tirocinante che per la sua effettiva formazione. Per certo, il rapporto di tirocinio può rappresentare un ottimo momento di conoscenza personale, ma a condizione che il nucleo essenziale dell’istituto, ovvero la sua vocazione formativa, non venga tradito.

È necessario, dunque, implementare meccanismi idonei a verificare che i processi formativi e di orientamento siano strumentali all’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro.

Principalmente, misure efficaci potrebbero essere adottate attraverso la responsabilizzazione degli enti autorizzati alla promozione dei tirocini extra-curriculari nonché alle modalità di certificazione delle competenze trasmesse.

Per altro verso, destano non poche perplessità le proposte di modifica alle normative regionali sui rapporti di tirocinio enunciate nella legge di bilancio di previsione dello Stato per l’anno 2022 (legge n. 234/2021). Il riferimento, in particolare, è al contenuto del comma 721, il quale prevede che la Conferenza Stato-Regioni emani entro sei mesi una riforma organica della disciplina del tirocinio extracurriculare. Le nuove linee guida auspicate dovrebbero basarsi, tra gli altri, su un criterio soggettivo che, se impropriamente interpretato, potrebbe minare l’operatività dell’intero istituto, così vanificando anni di sforzi politici e amministrativi per il suo migliore utilizzo.

Secondo la legge di bilancio, i rapporti di tirocinio dovrebbero essere limitati ai soggetti con difficoltà di inclusione sociale. In modo condivisibile, i primi e più attenti commentatori hanno evidenziato come la legge di bilancio sia intervenuta in una materia che non è di competenza del legislatore nazionale usando, peraltro, un linguaggio atecnico che fa genericamente riferimento a soggetti con difficoltà di inclusione sociale.

Qualora, però, in sede di conferenza permanente Stato-Regioni, dovesse trovare accoglimento una simile impostazione restrittiva, l’istituto del tirocinio ne finirebbe enormemente depotenziato, limitato ai soggetti tossicodipendenti ed ex tossicodipendenti, alcolisti ed ex alcolisti, condannati ammessi a misure alternative, ex detenuti, rifugiati.

Così, paradossalmente, proprio i neodiplomati ed i neolaureati resterebbero esclusi dalla platea dei soggetti destinatari. Insomma, si decreterebbe definitivamente il fallimento del tirocinio quale strumento di transizione scuola lavoro, epilogo che riteniamo fermamente sia da scongiurare.

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