L’operazione di trasferimento di sede produce effetti nell’ordinamento giuridico in cui la società viene trasferita così come in quello di provenienza. La possibile perdita della potestà impositiva da parte del Paese di provenienza – connessa a siffatta operazione – ha portato i Governi ad introdurre forme di exit taxation, ritenute dalla Corte di Giustizia UE incompatibili con la normativa comunitaria.
Alcune questioni/criticità di ordine fiscale hanno costituito, di recente, oggetto di considerazione sia a livello nazionale che sul piano comunitario. I ben noti sviluppi in tema di contrasto alla pianificazione fiscale aggressiva ed all’erosione della base imponibile hanno spinto il Legislatore ad intervenire sulla tematica dell’imposizione delle plusvalenze latenti nelle operazioni di trasferimento di sede.

Le novità in tema di trasferimento all’estero della sede di una società italiana
La disciplina tributaria italiana del trasferimento di residenza è dettata dall’art. 166 del TUIR [1], il quale prevede la tassazione delle plusvalenze latenti sugli assets aziendali oggetto del trasferimento, a meno che gli stessi non confluiscano in una stabile organizzazione [2] nel territorio dello Stato.
La ratio della norma è quella di evitare che i soggetti trasferiscano la residenza della società all’estero, eliminando ogni collegamento con il territorio che consenta allo Stato italiano di esercitare la propria potestà impositiva.
La disposizione è stata interessata, negli ultimi anni, da alcune modifiche che ne hanno consentito l’allineamento con i più recenti standard in materia, a livello comunitario ed internazionale.
La Commissione europea, a seguito di una denuncia promossa dall’Associazione Italiana Dottori Commercialisti [3], ha aperto un procedimento di infrazione nei confronti dello Stato italiano (n. 2010/4141), lamentando che l’imposizione delle plusvalenze latenti non realizzate, prevista dall’art. 166 del TUIR (versione anteriore al 2012), è una misura idonea ad ostacolare, dissuadere o quanto meno a rendere meno attraente, da parte degli imprenditori italiani, l’esercizio della libertà di stabilimento garantita dal TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea). Nessuna tassazione anticipata è invece prevista per i contribuenti italiani che trasferiscono la propria residenza nel territorio dello Stato, ovvero effettuano un trasferimento degli elementi patrimoniali da una sede principale ad una filiale o succursale sempre all’interno dello Stato italiano.
Il Legislatore italiano, a seguito del pronunciamento sul tema della exit tax da parte della Corte di Giustizia UE [4] – ed al fine di ovviare al suindicato procedimento di infrazione aperto dalla Commissione europea sulla exit tax – è intervenuto emendando l’art. 166 del TUIR ed introducendo i commi 2-quater e 2-quinquies.
Per effetto delle nuove disposizioni, che si applicano ai trasferimenti effettuati successivamente alla data di entrata in vigore del D.L. n. 1/2012 [5], la tassazione delle plusvalenze latenti alla data del trasferimento della sede all’estero può essere sospesa e differita al momento del realizzo degli elementi patrimoniali.
La sospensione non trova applicazione nel caso in cui il trasferimento della residenza all’estero non sia definitivo ed effettivo, oppure nel caso in cui l’impresa decida di trasferire la propria residenza all’estero, mantenendo tuttavia nel territorio italiano una stabile organizzazione [6].
Più di recente, sulla materia è intervenuto il Decreto legislativo n. 147 del 14 settembre 2015, contenente “Disposizioni recanti misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese” (in vigore dal 7 ottobre 2015), il quale ha inserito, nell’art. 166 del TUIR, una ulteriore disposizione la quale chiarisce che:

  • il regime sospensivo trova applicazione anche con riferimento ai trasferimenti intracomunitari di una parte o totalità degli attivi collegati ad una stabile organizzazione di un’impresa non residente, a condizione che i suddetti trasferimenti abbiano ad oggetto un’azienda od un ramo di azienda;
  • il beneficio su base opzionale del tax deferral trova applicazione in tutti i casi in cui il trasferimento dell’impresa commerciale verso Paesi membri dell’UE o Stati aderenti all’Accordo SEE sia l’effetto di operazioni straordinarie transfrontaliere, disciplinate dalla direttiva 2009/133/CEE (cd. direttiva fusioni).

Criticità connesse al trasferimento in Italia della sede di una società estera
L’operazione di trasferimento in Italia di sede sociale di società estera è stata di recente oggetto di intervento da parte del Legislatore italiano, con riguardo, in particolare, alla dibattuta questione concernente i valori di riferimento dell’intero patrimonio sociale dai quali partire per la successiva determinazione del reddito d’impresa della società trasferita.
In merito, l’Agenzia delle Entrate, nella risoluzione n. 345 del 5 agosto 2008, ha chiarito che:

  • il valore fiscale da attribuire alle partecipazioni deve essere il “costo storico”, in quanto, nel caso di specie, non si verificano atti di natura traslativa né la tassazione di plusvalenze latenti;
  • le perdite maturate all’estero non possono essere portate in deduzione dai futuri redditi eventualmente conseguiti in Italia, in quanto le stesse sono maturate secondo la disciplina dell’art. 167 del TUIR.

L’orientamento del Consiglio Nazionale del Notariato, espresso con lo studio n. 152-2008/T del 24 settembre 2008, diverge da quello evidenziato dall’Agenzia delle Entrate nella suindicata risoluzione, la quale ritiene che l’ingresso nell’ordinamento italiano dei beni al valore normale dovrebbe essere subordinato alla presenza, nella legislazione estera, di norme che prevedono la tassazione (cd. exit tax) al valore normale dei beni ricompresi nell’azienda della società che trasferisce la sua sede nel territorio di altro Stato.
In caso contrario, vale a dire in assenza di una exit tax, il criterio di valorizzazione indicato dall’Amministrazione finanziaria è quello del “costo storico”.
Sulla questione è intervenuto di recente il Legislatore italiano con la norma ex art. 12 (“Trasferimento della residenza nel territorio dello Stato”) del Decreto legislativo n. 147 del 14 settembre 2015 [7].
Essa prevede – quale criterio generale – il riconoscimento del valore normale delle attività e delle passività trasferite, anche in assenza dell’applicazione di una exit tax da parte dello Stato di provenienza, a condizione che il soggetto che trasferisce la residenza in Italia presenti apposita istanza ai sensi dell’art. 31-ter del D.P.R. n. 600 del 1973.
Trattasi di disposizioni che, nell’intento di agevolare l’internazionalizzazione delle imprese e gli investimenti, si presentano in linea con i principi comunitari in tema di exit tax e con il principio di libera concorrenza per quanto riguarda il riconoscimento del valore delle attività e delle passività trasferite.
Con la risoluzione n. 69/E del 5 agosto 2016, l’Agenzia delle Entrate ha fornito alcuni chiarimenti sull’applicazione del nuovo art. 166-bis del TUIR.
In primo luogo, si precisa che quest’ultimo non riguarda solo le società che esercitano effettivamente attività di impresa ma anche quelle “senza impresa”, vale a dire le società di partecipazione.
In secondo luogo, si chiarisce che l’articolo in commento si applica qualora l’operazione si sostanzi in un trasferimento nel territorio dello Stato della società estera (nel caso affrontato dall’Agenzia delle Entrate, si tratta di una società lussemburghese) a seguito e per effetto di operazione di fusione [8] con una società italiana, con le stesse conseguenze che avrebbe un trasferimento di sede della medesima società nell’ambito del territorio italiano [9].
Infine, il valore normale può essere riconosciuto anche nei casi di operazioni straordinarie e, quindi, in ipotesi di fusioni, scissioni, conferimenti e trasferimenti non regolati dalla direttiva 2009/133/CE [10].

Exit tax: novità in ambito comunitario
La proposta di direttiva [COM(2016)26] presentata dalla Commissione europea nell’ambito del pacchetto antielusione del 28 gennaio 2016 – e sul cui testo il Consiglio Ecofin del 17 giugno 2016 ha raggiunto l’accordo politico – contiene la previsione di una imposizione in uscita (exit tax), con l’obiettivo di prevenire l’erosione della base imponibile nello Stato di origine quando le plusvalenze non realizzate sono trasferite al di fuori di detto Stato.
Le disposizioni comunitarie in materia di exit tax rispondono all’esigenza di contrastare quelle pratiche in virtù delle quali i contribuenti cercano di ridurre l’onere fiscale trasferendo la propria residenza fiscale e/o i propri assets in una giurisdizione a bassa fiscalità.
Se è vero che il contribuente è assoggettato ad imposizione in uscita, è altrettanto vero che a questi è tuttavia offerta la possibilità, in virtù di quanto previsto dalla normativa comunitaria, di dilazionare il pagamento dell’imposta su un certo numero di anni e di versare il saldo mediante pagamenti successivi e suddivisi in più tranches.
La direttiva in commento entrerà in vigore dal 1° gennaio 2019, con l’eccezione della misura sulla tassazione in uscita dei beni di impresa che andrà applicata a partire dal 1° gennaio 2020.

  1. L’art. 166 del TUIR prevede che “il trasferimento all’estero della residenza dei soggetti che esercitano imprese commerciali, che comporti la perdita della residenza ai fini delle imposte sui redditi, costituisce realizzo, al valore normale, dei componenti dell’azienda o del complesso aziendale, salvo che gli stessi non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato. La stessa disposizione si applica se successivamente i componenti confluiti nella stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato ne vengano distolti. Si considerano in ogni caso realizzate, al valore normale, le plusvalenze relative alle stabili organizzazioni all’estero. Per le imprese individuali e le società di persone si applica l’art. 17, comma 1, lettere g) e l)”.
  2. Per approfondimenti sul concetto di stabile organizzazione cfr. Valente P., Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni, Ipsoa, 2016, Commento all’art. 5; Valente P., Vinciguerra L., Stabile organizzazione occulta: profili applicativi nelle verifiche, Ipsoa, 2013.
  3. Cfr. “Denuncia del 1 marzo 2009, n. 5”, in http://milano.aidc.pro/elencoIncompatibilita.aspx?idNorma=77.
  4. Sentenza del 29 novembre 2011, causa C-371/10, National Grid Indus BV.
  5. Il D.L. n. 1/2012 è entrato in vigore il 24 gennaio 2012.
  6. Per approfondimenti cfr. Valente P., Rizzardi R., Delocalizzazione, migrazione societaria e trasferimento sede, IPSOA, 2014, p. 117 ss..
  7. La norma ha introdotto nel TUIR l’art. 166-bis, secondo il quale:
    “1. I soggetti che esercitano imprese commerciali provenienti da Stati o territori inclusi nella lista di cui all’articolo 11, comma 4, lettera c), del decreto legislativo 1° aprile 1996, n. 239, che, trasferendosi nel territorio dello Stato, acquisiscono la residenza ai fini delle imposte sui redditi assumono quale valore fiscale delle attività e delle passività il valore normale delle stesse, da determinarsi ai sensi dell’articolo 9.
  8. L’operazione di fusione transnazionale si distingue dal trasferimento di sede. Quest’ultimo presuppone la continuità del soggetto, la quale viene invece meno nel caso di fusione per incorporazione.
  9. Tale regime, infatti, fa riferimento ai soggetti che, trasferendo la sede nel territorio dello Stato, acquisiscono la residenza ai fini delle imposte sui redditi.
  10. Le argomentazioni dell’Agenzia delle Entrate, nella risoluzione n. 69/E del 5 agosto 2016, si basano sulla considerazione secondo cui l’operazione di incorporazione, dal punto di vista dei “valori di ingresso”, è “sostanzialmente” analoga al trasferimento di sede. La necessità di trattare egualmente le due situazioni è stata fatta discendere dalla ratio dell’art. 166-bis del TUIR e dal generale principio di eguaglianza.
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