Alcuni interessanti interventi sui media possono far riflettere sul federalismo fiscale: pochi mesi fa, un articolo di Carlo Lottieri su “Il Giornale” rilancia il tema sul presupposto che “avvicinare gli oneri delle imposte e i benefici dei servizi è fondamentale se si vuole diminuire la tassazione su imprese e famiglie, migliorare il funzionamento degli apparati pubblici, ridurre le uscite”. Nell’articolo non si ignora infatti che “quando si parla di federalismo, specie in rapporto ai temi del fisco e della spesa pubblica, si evoca qualcosa che purtroppo in questi anni non abbiamo mai avuto. Gli enti locali continuano a essere all’origine di sprechi e malaffare perché un federalismo degno di questo nome, da noi, non si sa cosa sia”.

Vi fa seguito una replica da parte di Giorgio Spaziani Testa, Presidente di Confedilizia, che sul blog “Leoniblog” critica aspramente l’imposizione di carattere patrimoniale che si è sviluppata negli anni più recenti a carico dei proprietari di immobili. Per il Presidente di Confedilizia un’imposizione locale moderna dovrebbe invece fondarsi sul collegamento con il territorio e quindi con i servizi forniti dall’ente locale al cittadino-contribuente. “Dovrebbe esservi, come diceva la legge delega sul federalismo fiscale del 2009, una correlazione tra prelievo fiscale e beneficio connesso alle funzioni esercitate sul territorio in modo da favorire la corrispondenza tra responsabilità finanziaria e amministrativa”. E una vera tassa sui servizi dovrebbe avere due caratteristiche essenziali: 1) realizzare un effettivo, e controllabile, collegamento fra tributo versato dal contribuente e quantità e qualità dei servizi ricevuti dallo stesso contribuente; 2) essere a carico del fruitore di tali servizi e quindi – nel caso dell’imposizione fondata sugli immobili – non già del proprietario del bene in quanto tale, bensì dell’utente dello stesso, e cioè di chi lo occupa (in caso di locazione, dunque, dell’inquilino), come avviene, ad esempio, con la Council tax britannica”.

Successivamente, su “Repubblica”, sono riportati i risultati di uno studio di Confartigianato in cui si analizza il costo e la qualità dei servizi forniti a livello locale dagli enti pubblici o dalle società ad essi collegate. Lo studio documenta che tra l’aprile 2011 e l’aprile 2016 le tariffe dei servizi pubblici locali (fornitura acqua, raccolta rifiuti, trasporti pubblici) sono aumentate del 22%, contro un’inflazione ridotta al minimo, salita in cinque anni solo del 4,9%. Nel resto dell’Eurozona le tariffe sono salite della metà nel periodo considerato, in media dell’11,4%, cioè circa la metà del nostro dato nazionale.
Dal lato qualitativo, poi, la situazione è scoraggiante. Solo il 39% degli italiani si dichiara soddisfatto della qualità dei servizi pubblici, mentre la media europea si attesta al 61%. Detta media non considera solo i 28 Paesi Ue ma anche Turchia, Islanda, Norvegia e Svizzera: ebbene l’Italia riesce ad essere ultima comunque, preceduta anche da Slovacchia e Grecia dove i cittadini soddisfatti sono il 45%.
Le imposte locali hanno avuto quindi aumenti vertiginosi, le tariffe dei servizi pure, mentre la qualità dei servizi nel nostro Paese è nettamente percepita come scadente (anche in termini comparativi con il resto dell’Eurozona).
Ci si aspetterebbe forse una patrimonializzazione di un tale gap evidente tra entrate monetarie (sicuramente ingenti) e costi di produzione dei servizi, presumibilmente ridotti considerato il loro scarso livello.

Invece, è noto che il debito del Comune di Roma ha superato i 12 miliardi di euro, mentre grave, anche se in modo minore, appare la situazione dell’indebitamento di città importanti come Milano e Torino.
Ancora Il Sole 24 Ore, nel medesimo periodo, ci fornisce una panoramica sconfortante della situazione finanziaria delle Regioni italiane, come risultante dai rendiconti esaminati dalla Corte dei Conti, riferiti agli ultimi esercizi approvati. Ebbene il totale dell’indebitamento del sistema Regioni ammonta a 33 miliardi di euro. Spicca anche in questo caso la regione Lazio con il dato “corretto” dalla Corte dei Conti di 10,9 miliardi (contro i 2,9 miliardi indicati dalla Regione stessa), seguita con breve distacco da Piemonte e Sicilia.
Tutte queste considerazioni convergono sulla comune incapacità gestionale di molti amministratori locali, incapacità che per un qualunque imprenditore si tradurrebbe quantomeno in un dissesto patrimoniale (leggi fallimento), con riflessi sui propri asset patrimoniali e che, invece, nel caso della gestione della cosa pubblica, non sfiora minimamente il (cattivo) gestore. Senza considerare che, qualora nel caso delle imprese private si ravvisino anomale cointeressenze tra patrimonio (privato) amministrato e interessi personali è pressoché automatico il vaglio dei fatti dal lato penale, mentre la casistica che riguarda, sotto questo profilo, l’amministratore pubblico è molto limitata e considera ormai solo situazioni eclatanti.
Ma non si può combattere in eterno questo ingordo Leviatano fatto di favori, consensi, spesa improduttiva, interessi collegati, poltrone e altro ancora con la semplice responsabilità politica. Occorre un controllo serio, il meno formale possibile ma pragmatico e non limitato al voto.

Per questo va sollecitato un intervento legislativo. Lo schema può essere quello già noto e già oggetto di una proposta di legge del 2012 della cosiddetta “Agenzia delle Uscite”, un organo cioè preposto al controllo delle spese pubbliche sotto il profilo sostanziale e di opportunità. Ma, a parte il nome, andrebbe istituita una figura con competenze per i controlli, adeguate dotazioni di personale, obbligo di raccolta delle segnalazioni di qualunque cittadino (mai anonime poiché nella delazione si nasconde l’infamia) e reali poteri di intervento, pur con tutte le garanzie di legge per chi deve amministrare, senza timore di una caccia alle streghe, ma con correttezza e responsabilità, la cosa pubblica.
Spesso si riporta la notizia secondo la quale l’Unione Europea vorrebbe una maggiore tassazione sui patrimoni (immobiliari e non) e una minore imposizione sul lavoro e sulle imprese; peccato che in Italia la patrimoniale, di fatto e di diritto, esista già da molti anni sotto differenti nomi e che la coperta sia ormai corta. Unica leva, ma difficile farlo capire a certi politici, resta la spesa pubblica, di qualità e inferiore a quella, mostruosa, cui tutti siamo ormai ahimè avvezzi.

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