Le tre maggiori complessità nell’approccio alla Voluntary Disclosure (rectius, “collaborazione volontaria”) derivano dal fatto che: (i) non è una norma “solo” fiscale (per coglierne appieno i suoi effetti occorre ragionare contemporaneamente anche in termini giuridici extra-fiscali e, soprattutto, finanziari); (ii) non è una norma “solo” italiana (deriva infatti da singole esperienze di altre giurisdizioni, soprattutto anglosassoni, portando con sé talune distonie dovute all’introduzione nel nostro regime di “civil law” di istituti tipici del “common law”); e, infine, (iii) non è una norma già “definitiva” nel suo assetto (e ciò nonostante sia in vigore da oltre sei mesi e la scadenza prevista sia fra meno di tre mesi).

Soprattutto, occorre ribadire che, proprio per effetto delle premesse citate, la norma segue una logica ben diversa dai vecchi “scudi”, poiché non ha come focus i “patrimoni” in sé, bensì i “comportamenti” che li hanno generati, utilizzati o reinvestiti nel tempo e, ancor più, che verranno adottati in futuro, in relazione appunto a “quei” patrimoni. Più precisamente, tutto ruota attorno alla “qualificazione” dei “comportamenti” (come detto, anche di quelli futuri), sia da un punto di vista fiscale (essendo la norma incardinata nelle procedure di accertamento) che da un punto di vista penale (essendo la procedura, una volta definita, trasmessa alla Procura competente, sia per tener conto delle condizioni di “non punibilità” derivanti dall’adesione che per l’eventuale – non remota, in alcuni casi – riqualificazione di ipotesi di reato diverse da quelle ipotizzate dall’istante). E, il tutto, in presenza di un “convitato di pietra”, derivante dalla nuova ipotesi di reato autonomo di autoriciclaggio introdotto con la stessa L. 15 dicembre 2014, n. 186.

Per completare l’inquadramento del provvedimento, va anche ricordato il perché la VD sia stata introdotta ora. Sicuramente hanno giocato a favore un maggiore livello di cooperazione su scala internazionale, l’adesione di molti paesi ai CRS (common reporting standard dell’OCSE) in materia di scambi automatici delle informazioni fiscali tra Stati (per gli “earliest adopters” a partire dal 2018 per i dati 2017), i diversi precedenti esterni all’Italia (US Tax program tra Svizzera e USA, che ha portato a pesanti sanzioni per alcune banche elvetiche; l’introduzione dell’accordo bilaterale FATCA con gli USA; le nuove regole europee in arrivo contro l’evasione fiscale internazionale; il registro dei “beneficial owners” di attivi finanziari, società, trust e simili, previsto dalla IV Direttiva in materia di antiriciclaggio). Tutto ciò renderà più difficile, in futuro, il nascondimento di tali patrimoni e, soprattutto, il loro reimpiego, favorendo l’affermarsi del filone di pensiero, che sta emergendo nel mondo anglosassone, denominato come good citizenship.

Ma, in pratica, questa Voluntary Disclosure cos’è? Di fatto, sinteticamente, è una sorta di ravvedimento operoso “straordinario”, applicabile anche a casistiche “interne”, per persone fisiche, enti e società residenti, in ordine al pagamento, ora per allora, per i periodi per i quali non sia scaduto il termine di accertamento: (i) delle imposte (sui redditi, IVA e IRAP ove applicabili) eventualmente evase che hanno dato genesi ai capitali investiti all’estero; (ii) delle imposte evase sul reinvestimento (finanziario e non); (iii) dei relativi interessi e sanzioni; nonché (iv) delle sanzioni per l’omessa o incompleta compilazione del quadro RW in dichiarazione dei redditi.
La norma consente una riduzione delle sanzioni tributarie (di un quarto del minimo edittale applicabile per le imposte evase e della metà del minimo per le sanzioni legate al RW) nonché la disapplicazione (principio di “non punibilità”) di alcune ipotesi di reato di natura tributaria in sede penale (escluse, essenzialmente, la falsa fatturazione, la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte e la distruzione/occultamento di scritture contabili).

La procedura, dopo una prima fase di raccolta di elementi, dati e documentazione (da non sottovalutare, per tempistica, qualità e costi in capo al cliente), prevede l’inoltro in via telematica di un apposito modello, tramite professionista abilitato, per la sola quantificazione degli imponibili e degli attivi da regolarizzare, seguito da un successivo invio email all’AdE competente della prescritta relazione illustrativa (a contenuto minimo obbligatorio) e della documentazione allegata. Successivamente vi sarà, da parte dell’Ufficio, l’emissione degli inviti a comparire contenenti la liquidazione delle imposte evase e delle relative sanzioni nonché degli avvisi di irrogazione delle sanzioni legate alle violazioni degli obblighi di monitoraggio fiscale. Tali atti potranno essere definiti (con ulteriore riduzione delle sanzioni a 1/6 per quelle relative alle imposte evase e a 1/3 per quelle legate al RW,). In mancanza di definizione, si apre la fase di contradditorio con possibilità di successiva adesione all’accertamento (con riduzione delle sanzioni relative alle imposte evase solo a 1/3).

Nonostante però la norma sia in vigore da gennaio e preveda un periodo di applicazione limitato nel tempo (la scadenza è fissata, per ora, al 30 settembre), le problematiche applicative sono invero ancora tali e tante da poter riempire un articolo solo con la loro elencazione, tanto da meritarsi l’appellativo di “norma incompiuta” e da sollevare l’interrogativo della necessità (rectius, imperativo categorico) di una proroga dei termini. Solo per indicare i punti più rilevanti: la metodologia di calcolo dei rendimenti finanziari nel regime analitico; taluni chiarimenti sull’accesso al regime forfetario dei medesimi rendimenti finanziari; il problema della correlazione con la modifica alla norma sul raddoppio dei termini in caso di ipotesi di reato tributario, che rende a volte dubbio quali siano i periodi ancora accertabili (dubbio che si presenta anche nei vari casi di coesistenza, per il medesimo soggetto, sia di giurisdizioni collaborative che di Paesi black list); la previsione del principio del cosiddetto “all in”, soprattutto in relazione alla Voluntary “interna”; la definizione del principio di plausibilità, in ordine a prelievi e movimentazione di contanti, anche in ordine all’applicabilità o meno delle sanzioni aggiuntive valutarie; la gestione del tema legato al rischio whistblowing, nei casi di dazioni a terzi e triangolazioni societarie; la gestione dei casi meno “scolastici” di interposizione fittizia; la valutazione di taluni asset finanziari illiquidi o di proprietà immobiliari in mercati in calo rispetto al valore d’acquisto; la difficoltà del reperimento, da talune controparti domiciliate in giurisdizioni esotiche, di documentazione oggettivamente necessaria per i calcoli prescritti; la correlazione con le violazioni fiscali non sanabili in procedura, quali quelle relative a IVIE, IVAFE, contributi, successioni e donazioni. E tutto ciò solo per indicare le questioni più rilevanti.

Per non dimenticare poi la questione, tutta interna al mondo professionale, della correlazione con le norme antiriciclaggio, qui per ragioni di spazio solo accennata. Sul punto, la posizione del MEF è, per quanto discutibile, ad oggi chiara (piena applicazione delle regole applicative di adeguata verifica e, ove applicabile, della SOS, a partire dal conferimento del mandato), fermo restando che l’invocata applicabilità dell’esenzione di cui all’art 12 secondo comma della 231, ovvero della disapplicazione, come fu per gli “scudi”, delle SOS per le ipotesi di reato comunque coperte dalla normativa, dovrà discendere – se verrà concessa – da apposita formale indicazione di prassi amministrativa.

Per concludere, oltre a segnalare taluni comportamenti da evitare per il cliente (ricorso a dissimulazione dell’effettiva proprietà degli attivi; trasferimenti di attivi da paesi a cui si applicherà lo scambio di informazioni a paesi non collaborativi; simulazione o non veridicità dei waiver e delle attestazioni conseguenti) e per il commercialista (suggerimenti ultra legem alternativi all’emersione, che potrebbero esporlo a rischio penale per via delle norme antiriciclaggio), la norma offre – nonostante tutte le insidie interpretative prima rappresentate – una grande (ultima) occasione di regolarizzazione per il singolo – privato o società che sia – e la possibilità di reinserimento per il Paese nell’economia ufficiale di patrimoni altrimenti fermi e non produttivi di economia sana, oltre che possibilità di gettito straordinario (per le casse dello Stato).
Ma, perché ciò accada, occorrono almeno le seguenti modifiche (peraltro attese, quando non già sollecitate, dagli operatori). In sintesi, cinque punti: (i) la proroga dei termini, magari anche con l’inserimento del periodo 2014 nella procedura, così da evitare ravvedimenti operosi successivi; (ii) la certezza delle modifiche alla norma sul raddoppio dei termini in presenza di ipotesi di reato tributario non ancora segnalato; (iii) la semplificazione del metodo di calcolo delle rendite finanziarie nel regime analitico, alternativamente estendendo l’applicazione del forfait (27% sul 5% degli attivi annui) ovvero consentendo l’applicazione sul risultato annuo come se fosse un rapporto sotteso al regime del risparmio gestito; (iv) il riconoscimento, come già fu per i vecchi “scudi”, della sospensiva per cause ostative in ordine alla reperibilità di documentazione o ai termini del rimpatrio fisico e giuridico; e, in ultimo, (v) taluni accorgimenti in ordine alle tutele endoprocedimentali – oggi quasi dimenticate – in relazione al contradditorio preventivo, ai tempi di trattazione e ai poteri successivi del giudice tributario adito, di far rivivere le condizioni di favore proprie della Volutary Disclosure in caso di vittoria in giudizio del contribuente.
Meno sarà incompiuta, infatti, più sarà una vera opportunità.

di Francesco Renne e Pasquale Saggese

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