La disciplina dell’allerta interna regolata dal Dlgs 175/2016 (Testo unico delle società a partecipazione pubblica, Tusp) pone, per le società a controllo pubblico, nuovi obblighi, in linea con quelli poi previsti dal Codice della crisi e dell’insolvenza (Dlgs 14/2019).

In particolare, nelle società a controllo pubblico (sulla cui perimetrazione non c’è ancora unanimità ma che, in linea di massima, possono essere fatte coincidere con quelle in cui una o più amministrazioni pubbliche – in virtù di norme di legge o statutarie o di patti parasociali – siano in grado di orientare le decisioni gestionali e strategiche relative all’attività sociale) occorre predisporre specifici programmi di valutazione del rischio di crisi aziendale (articolo 6, comma 2, Tusp) al fine di anticipare l’emersione del rischio di crisi mediante l’impiego di indicatori di allerta che – ove integrati – obbligano l’organo amministrativo – ex articolo 14, comma 2, Tusp – ad adottare senza indugio i provvedimenti necessari al fine di prevenire l’aggravamento della crisi, correggerne gli effetti ed eliminarne le cause, attraverso un idoneo piano di risanamento.

La ratio è quella di fornire sia agli organi societari sia al rappresentante della pubblica amministrazione controllante (indipendentemente dall’ordinario flusso informativo pervenuto dagli organi societari) uno strumento che metta in condizione di compiere una fondata valutazione sullo stato della società in base a parametri la cui integrazione impone senz’altro un intervento proattivo. Il tutto, muovendo dalla constatazione che la specificità del modello di governance caratterizzante le società pubbliche ha dato storicamente luogo a gestioni non ineccepibili.

Il Codice della crisi d’impresa, a sua volta, prevede (articolo 14, comma 1) il dovere per gli organi di controllo societari, il revisore e la società di revisione di verificare che l’organo amministrativo valuti costantemente se l’assetto organizzativo dell’impresa è adeguato, se c’è l’equilibrio economico finanziario e qual è il prevedibile andamento della gestione (vale adire, di vigilare sull’istituzione e il mantenimento di un assetto organizzativo idoneo alla rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale); nonché di segnalare subito all’organo amministrativo l’esistenza di fondati indizi della crisi.

Entrambe le discipline non individuano i parametri in base ai quali accertare la ricorrenza, rispettivamente, di «fondati indizi di crisi» e del «rischio di crisi aziendale».

Sul punto, i commercialisti hanno svolto un ruolo da protagonista: quanto al Codice, in virtù dell’articolo 13, comma 2, che demanda al Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esserti contabili di elaborare almeno ogni tre anni gli indicatori della crisi (nell’accezione del comma 1); con riferimento al Tusp, predisponendo attraverso un tavolo di lavoro che si è avvalso dell’apporto di esponenti di Abi, di Utilitalia, della magistratura ordinaria e contabile, e di altri esperti della materia una traccia di «Relazione sul governo societario ex articolo 6, comma 4, Dlgs 175/2016» (che incorpora un format di «Programma di valutazione del rischio di crisi aziendale ex articolo 6, comma 2, Dlgs 175/2016» e di «Relazione sul monitoraggio e verifica di crisi aziendale») e una serie di raccomandazioni per la selezione degli indicatori del rischio di crisi.

Sotto tale ultimo profilo, il Consiglio nazionale evidenzia che l’organo di governo è chiamato a privilegiare un’ottica prospettica e di programmazione e sottolinea l’importanza di strumenti di pianificazione e controllo (piano industriale; business plan) funzionali alla disponibilità di dati prognostici.

In tale prospettiva, il Consiglio nazionale ritiene che l’indicatore più significativo sia il Debt service coverage ratio (Dscr) che può essere affiancato dal monitoraggio della determinazione del patrimonio netto (attraverso la somma algebrica dell’enterprise value e della posizione finanziaria netta); mentre solo in subordine, in assenza di dati prognostici, si potrà ricorrere a indicatori sintetici (analisi degli indici di bilancio su base tendenziale degli ultimi tre-quattro esercizi).

In aggiunta, il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili segnala la possibilità di impiegare un processo empirico fondato su un modello elettronico di adeguata verifica degli elementi segnaletici (early warning) e rating sulla probabilità di insolvenza; mentre sconsiglia l’impiego isolato di strumenti dotati di valenza retrospettica che, pur utili a individuare una probabilità di default, non apprezzano dati prognostici e quindi potrebbero non intercettare tempestivamente il rischio di crisi.

Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore del 23 ottobre 2019

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