Molto si è detto e molto si è letto, spesso in maniera purtroppo poco accurata, sul c.d. bail in e sulle sue conseguenze pratiche, tanto che, puntualizzare ciò che è e ciò che – invece – non è, appare utile anche su queste colonne.
Il meccanismo del bail in è un insieme di procedure concordate di salvataggio di una banca (o di un sistema finanziario) dall’interno, prima di poter intervenire con aiuti pubblici (nazionali o sovranazionali). Si contrappone al meccanismo del bail out – divenuto famoso ai più con il caso Grecia – che è invece una procedura di salvataggio (bancario o di uno Stato sovrano) dall’esterno, cioè con soldi pubblici (o tramite fondi pubblici di enti sovranazionali).
Nei fatti, la differenza sostanziale delle suindicate procedure attiene a due profili connessi fra loro: la preordinazione delle regole di intervento e i soggetti su cui grava l’onere dell’intervento stesso. Le procedure di bail in sono cioè organiche e predeterminate (da apposita direttiva quadro a livello europeo) e gravano – in primis – sui creditori (con alcune eccezioni) delle banche che si trovassero in stato di crisi; il bail out, invece, è per sua natura un accordo straordinario, le cui linee guida sono invero indicate da prassi degli organismi sovranazionali – che discende dall’intervento dell’Autorità pubblica (a volte congiuntamente ad Enti sovranazionali, appunto) – e che grava,nei fatti.su tutti i contribuenti di quello Stato (o di quegli Stati che hanno finanziato – o si siano impegnati a farlo – gli Enti sovranazionali eventualmente coinvolti).
Privilegiare l’una o l’altra strada è, dunque, una scelta di politica economica. Non altro, e ciò nonostante le (molte) polemiche hanno accompagnato l’introduzione nel nostro ordinamento giuridico delle regole del bail in.
Ovvio quindi che (in specie per i commercialisti, spesso chiamati ad orientare le scelte finanziarie di imprese e famiglie clienti) conoscere le regole che stanno cambiando e i loro effetti pratici risulta essere una necessità obbligata al fine di agire razionalmente.
Nella sostanza dei fatti, è stato introdotto il “meccanismo europeo di risoluzione unico” (SRM), che altro non è che un corpo di regole uniche per tutte le circa 8200 banche dell’unione Europea, al fine di assicurare una gestione efficiente degli eventuali fallimenti di banche europee ad un cost o minimo per i contribuenti e per l’economia reale complessiva. Nel contempo, assieme all’altro pilastro del “meccanismo europeo di stabilità” (ESM), (che è una sorta di fondo di garanzia sovranazionale che ha come orizzonte la stabilità finanziaria dei Paesi membri) viene creato un “sistema di garanzia dei depositi” (DGS) – con soglia comunque pari a 100 mila euro, quindi analogo all’attuale “fondo interbancario di tutela dei depositi” – che avrà tempi di rimborso delle somme decisamente più brevi (sette giorni) e salvaguardia per quelle situazioni particolari di “picchi” momentanei di giacenze (ad esempio nei casi di transazioni immobiliari in corso) per il tramite di un “fondo di risoluzione unico”(SFR) appositamente istituito.
Questa nuova regolamentazione – assieme ad altre, che saranno oggetto di prossimi articoli – è stata recepita dall’Italia ad inizio luglio, con l’approvazione della Legge di Delegazione Europea da parte della Camera (270 voti favorevoli, 113 contrari e 22 astenuti). Con tale provvedimento – oltre a recepire (in parziale ritardo) ben 56 direttive e 9 decisioni comunitarie, riducendo così le procedure di infrazione in corso a carico del nostro Paese – si è appunto introdotta nel nostro ordinamento la previsione delle procedure di bail in per i casi di eventuale salvataggio bancario.
In buona sostanza, la nuova procedura europea impone che – nei casi di dissesto delle banche – prima che possa intervenire lo Stato (e quindi la generalità dei contribuenti) o il nuovo fondo SFR prima citato, si debba procedere – per la parte proporzionale all’effettivo bisogno finanziario, risultante da apposito piano predisposto di ristrutturazione o di cessione di asset a terzi ( e anche in deroga alle regole concorsuali ordinarie fra creditori chirografari, adottando il cd. “pecking order”) – alla diluizione degli azionisti esistenti, tramite il ricorso alla conversione forzata delle obbligazioni emesse (partendo da quelle “subordinate” e con eccezione di quelle “garantite”) e, nel caso non fosse sufficiente, tramite la conversione dei saldi di deposito sui conti correnti, fermo restando il limite soggetto alla garanzia dei 100 mila euro per codice fiscale prima ricordata.
E però, per quanto possa sembrare a prima vista strano, il fatto che vengano incisi i conti correnti non deve stupire, essendo questi – giuridicamente parlando – dei contratti per cui il cliente è creditore di quel saldo a una specifica data (lo è, giova ricordarlo, anche ai fini fiscali nelle imposte di successione, ad esempio, rientrando infatti i saldi di conto corrente fra i crediti assoggettati a tassazione al supero delle soglie ivi previste).
Come si può notare, il principio che va affermandosi a livello comunitario è sostanzialmente la trasposizione del principio ispiratore della riforma della Legge Fallimentare, quando il nostro Legislatore ha introdotto i cd. concordati in continuità: salvare la continuità del business e gli interessi degli stockholders (i dipendenti – e, indirettamente, i contribuenti – in primis) anche a scapito di azionisti e creditori. Come è cambiato per questi ultimi l’approccio alla “gestione” (e alla scelta) del cliente (per proteggersi da eventuali insolvenze), dovrà cambiare l’approccio dei risparmiatori alla gestione dei propri depositi ed investimenti. Saper scegliere la banca, conoscendo il quadro di regole e il contesto economico finanziario che la contraddistingue, può essere sicuramente utile a prevenire conseguenze non previste. E per farlo, ad avviso di chi scrive, occorre seguire questi cinque semplici punti chiave: (i) saperne monitorare l’andamento economico-finanziario nel tempo; (ii) nei depositi e conti correnti, porre attenzione in particolare al core tier one *(indicatore principe del livello del patrimonio di vigilanza per una banca; (iii) avere un approccio di *diversificazione degli investimenti (in funzione del profilo di rischio specifico di ciascun cliente) ovvero (iv) fra più banche, per evitare eccessive concentrazioni qualora si prediligessero i depositi semplici; nonché (v) saperne valutare l’efficienza nei servizi e la capacità di credito (in termini di disponibilità commerciale), qualora ve ne sia in prospettiva l’esigenza.
Conoscere e saper valutare razionalmente, dunque, come risposta alle regole che mutano nel contesto economico che stiamo attraversando.
Link utili: https://www.bancaditalia.it/media/approfondimenti/documenti/QA_gestione_crisi_bancarie.pd
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