Parlare oggi di tendenze ambigue e che non lasciano trasparenza di intenti, nel rapporto Pubblica Amministrazione / professionista, sembra oramai a dir poco anacronistico sia dal punto di vista concettuale che tangibile.
E’ evidente che il rapporto cliente/professionista, assiduamente e costantemente intessuto fino a ieri, sconta oggi la manifesta volontà della P.A di assumere sempre più un ruolo centrale nella verifica diretta e non più passiva e nel tutelare i propri interessi, qualunque essi siano.
I riferimenti sin qui abbracciati fanno esplicita allusione al lavoro improbo e talune volte inutile che i professionisti tutti sono costretti ad esplicare nei confronti della P.A. comandati sic et simpliciter al fine di risolvere i disservizi della stessa e, non solo, in un coacervo continuo di norme, circolari, messaggi ed atti aventi forza di legge.
Non più si può parlare di semplici comunicazioni informatiche tese ad alleggerire i servizi dell’apparato burocratico ma di imponenti diffusioni di dati, trasferiti su strutturati e complessi canali informatici che impegnano diligentemente ed ininterrottamente il professionista incaricato.
L’intermediazione telematica rappresenta oggi una vera e propria “prestazione intellettuale” che esplica la propria funzionalità sia nell’interesse del cliente ma direi con forza anche e soprattutto nei confronti della P.A.. Aspetto non di poco conto sarebbe approfondire la tematica sotto il profilo strettamente sindacale, ma lasciamo per il momento la trattazione di questi aspetti.
Cerchiamo di comprendere quale potrebbe essere di qui a poco l’intento, passateci il temine esoterico/occulto, che la P.A. intravede per l’intermediario giuslavoristico analizzando l’art. 15 del Dlgs 151/2015.
Nella lettura apparentemente scontata, fredda e discorsiva del suddetto articolo avremmo immediatamente posto le ragioni dell’assunto “A decorrere dal 1° gennaio 2017, il libro unico del lavoro è tenuto, in modalità telematica, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali” in una maggiore razionalizzazione delle attività in materia di lavoro in un periodo contingente di sviluppo globale ma invece a nostro avviso, sottende tutt’altro.
Vi è sicuramente una volontà sottaciuta, nascosta, di cui il senso esteriore e apparente è soltanto un paravento e che deve essere ricercato da coloro che sono capaci di interpretarlo (ossia noi professionisti).
Il succitato art. 15 così recita:
(Libro unico del lavoro)
Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, sono stabilite le modalità tecniche e organizzative per l’interoperabilità, la tenuta, l’aggiornamento e la conservazione dei dati contenuti nel libro unico del lavoro di cui all’articolo 39 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133.
Dante Alighieri diceva nella sua “divina avventura” “O voi ch’avete l’intelletti sani mirate la dottrina che s’asconde sotto il velame delli versi strani”.-
La volontà da parte della P.A. sarà concretamente dimostrata allorquando nel raccogliere i dati trasferiti da noi professionisti, i suddetti saranno utilizzati per centralizzarli e controllare il mercato del lavoro per poi passare ad una fase successiva, nella quale le risultanze contabili, una volta convogliate in archivi attivi, potranno di fatto essere utilizzati per le elaborazioni susseguenti, vedi determinazione degli aspetti contributivi, fiscali, assicurativi.
Chiediamo scusa al Sommo se l’abbiamo ricordato/scomodato e citato in questi ragionamenti, oggi, una volta scoperchiato il vaso di pandora, diremmo a conferma più semplicemente “a pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina”.
Ma allora sorgono spontanee alcune considerazioni sicuramente non ottimistiche per i nostri studi:
Ci chiediamo che ne è stato di tutte le prestazioni che soprattutto nell’ultimo decennio a titolo meramente gratuito o quasi sono state rese nei confronti della P.A. beneficiando la stessa, di una moltitudine di lavoratori non più considerati professionisti, ma veri e propri dipendenti dello stato che hanno lavorato e continuano a farlo, privati, sprovvisti, di qualsivoglia retribuzione, diritti sindacali, e tantomeno assicurazioni pensionistiche che sanitarie?
Si assisterà, inoltre, nel medio periodo ad un ridimensionamento dei nostri studi con un’inevitabile dismissione delle collaborazioni che fino ad oggi hanno assicurato continuità dei servizi all’interno degli stessi.
Per la P.A. sarà a questo punto facile monopolizzare buona parte della nostra attività professionale interagendo direttamente con il cliente/datore di lavoro, sottraendoci lavoro e costringendoci, relegati, nostro malgrado, in un sistema burocratico prepotente ed assolutistico. Un processo probabilmente inesorabile al quale bisogna comunque sin d’ora opporre una resistenza.
Se l’intento sarà quello di tutelare i nostri interessi, sarà faticoso attivarsi per un’azione che diversifichi le relazioni intessute sino ad oggi tra la P.A. e intermediari, così come sarà altrettanto laborioso ipotizzare uno “statuto dell’intermediario” certo, sicuro, ma indispensabile che raccolga in se, sia i doveri quanto i diritti dell’intermediario telematico in tutti gli aspetti oggi disattesi ed assenti. Insomma, il riconoscimento del rapporto di collaborazione coordinata e continuativa prestate nell’esercizio della professione intellettuale consolidatosi con l’accreditamento da parte della P.A. al sistema digitale.
A tal proposito, cimentandosi in un’eventuale ipotesi di costruzione di una regolamentazione dei servizi di pubblica necessità, gli stessi servizi non dovrebbero né quantomeno potrebbero non inserirsi in un contesto più ampio che tocchi la sfera di vero “servizio pubblico”, sancendo la indispensabile realizzazione di un autentico “codice dell’intermediario” e facendo fruire nello stesso reciproci doveri e diritti nei confronti della P.A.
Di doveri sarebbe superfluo parlare perché li subiamo fin troppi dalla P.A., peraltro, senza alcun ritorno economico cosi come oggi previsto per CAF e Patronati le cui attività, tutte previste nell’oggetto della legge 12/79, non possono più costituire una esclusiva degli stessi.
Invece di diritti in questa ipotetica regolamentazione si potrebbe scrivere un trattato ma volendo procedere per gradi quello che più interessa è la tutela dell’intermediario vista sotto l’aspetto normativo oltre che quello economico.
Il caso più significativo riguarda l’impossibilità ad adempiere per sopraggiunto stato di malattia e/o infortunio. In questo caso sarebbe immaginabile procrastinare l’invio degli adempimenti telematici, per tutti i clienti in delega, nei successivi 10 giorni dal termine dell’evento.
E’ necessario, insomma, statuire nella logica delle tutele, in modo imprescindibile, la pianificazione razionale, delle eventuali sospensioni e/o interruzioni del servizio (vedi anche Scioperi).
Dal punto di vista economico non di poco conto, facendo sempre riferimento al comparto giuslavoristico, è l’aspetto della remunerazione dell’attività dell’intermediario che, ravvisato dagli effetti anche di natura penale nella mancata ed ingiustificata erogazione dei servizi, abbia necessariamente come contro altare, remunerazioni adeguate, così come d’altronde accade in altri comparti di attività anche se non proprio proficue e motivanti; remunerazioni ipotizzabili anche sotto forma di credito di imposta utilizzabile nel mod. F/24.
Insomma, per concludere, una piattaforma di regole che attribuiscano doveri ma anche diritti nel rispetto reciproco delle proprie funzioni e che non lascino invece trapelare forzature dialettiche a giustificazione di un regolamento/documento che, debba brillare bensì viceversa, per disciplina essenziale volta a garantire una mutua assicurazione dei servizi verso la P.A. e nei confronti dei fruitori ultimi.
Si parla ormai da lunga data delle problematiche derivanti dalla semplificazione ad oggi irrisolte. Si spera che i tempi siano maturi affinché venga instaurato un dialogo costruttivo da parte delle Associazione di categoria con il Ministero della Funzione Pubblica, Diversamente non “ha ragione ancora di esistere il sindacato di categoria”.

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