“Serve un’ulteriore proroga dei termini di adempimento dei concordati preventivi degli accordi di ristrutturazione, degli accordi di composizione della crisi e dei piani del consumatore omologati aventi scadenza in data successiva al 23 febbraio 2020, già precedentemente prorogati di sei mesi. Si tratta di una richiesta che riteniamo più che giustificata visto il perdurare della situazione di grave difficoltà economica e il tardare di un ritorno alla normalità”. È quanto affermato dal Consigliere nazionale dei commercialisti, Andrea Foschi, nel corso di un’audizione parlamentare sul Piano nazionale di ripresa e resilienza tenutasi oggi in video collegamento.

Foschi ha aggiunto che il Consiglio nazionale dei commercialisti “ha da tempo una convergenza anche con Confindustria in merito a temi che dovrebbero essere presi in carico da subito, visto che ci aspettiamo purtroppo il verificarsi di numerose situazioni di crisi e mai come ora è necessario salvaguardare gli imprenditori e le aziende Italiane dagli effetti della pandemia e favorirne la ripartenza. Elementi che potrebbero essere da integrare nell’ambito di un Codice della Crisi che andrà necessariamente rinnovato e per il quale credo vada previsto un ulteriore spostamento dell’entrata in vigore o, come sempre sostenuto dal nostro Consiglio Nazionale, quantomeno una entrata più graduale”.

Foschi ha quindi sostenuto che “l’eventuale ulteriore spostamento delle procedure di allerta non significherebbe affatto che esse non siano più attuali”. “Ad esempio – ha proseguito – è vero che una norma figlia dell’emergenza pandemica ha reso neutro il tema del patrimonio netto negativo evitando l’obbligo di ricapitalizzazione a copertura, ma questo non vuol dire avere eleminato il problema o avere dichiarato la inapplicabilità degli “indici”. Sarebbe un errore evidente, di certo non fattibile dagli operatori del settore. E’ vero gli amministratori possono, “in via temporanea ed eccezionale, sterilizzare la perdita dell’esercizio in corso al 31 dicembre 2020, in deroga al principio di conservazione del capitale” così come possono riassorbirla nei prossimi cinque anni, ma, se vogliono essere liberi da responsabilità, devono valutare con attenzione che questo non sia un segnale di crisi non recuperabile da parte della propria azienda. Gli stessi revisori dovranno comunque certificare la continuità aziendale, pur fatte salve le incertezze da Covid e con tutte le cautele possibili in una fase di evidente emergenza, ma il tutto potrà essere superato solo con adeguati assetti organizzativi che consentano di costruire piani sostenibili di recupero”.

Foschi ha infine ricordato come “in tal senso si è intervenuti per il tramite di OIC in ambito nazionale, con il Documento Interpretativo 6 relativo alla continuità aziendale, nonché con la comunicazione dell’OIC del maggio 2020 sull’impairment. E’ evidente – ha concluso – come nella definizione degli impairment test si dovrà tenere conto, nei business plan, degli effetti della crisi causata dall’emergenza sanitaria da Covid-19”.

 

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