Tra le notizie diramate dalla stampa specializzata negli ultimi giorni, particolare enfasi hanno suscitato gli articoli sulla condizione delle libere professioni in Italia, in particolare quella dei commercialisti e degli esperti contabili, e sulla cosiddetta crisi delle “vocazioni”.

Il CNDCEC, da tempo, profonde sforzi significativi per il sostegno e la promozione della categoria nonché per l’analisi ed il contrasto al calo di interesse verso la professione. Un’analisi approfondita, in proposito, è stata operata di recente dall’Area di delega al lavoro del Consiglio nazionale in occasione della Indagine conoscitiva sulle nuove disuguaglianze prodotte dalla pandemia nel mondo del lavoro, in sede di audizione parlamentare della XI Commissione permanente lavoro pubblico e privato.

Lo stato di “salute” della nostra professione è condizionato da tendenze sviluppate in uno scenario fortemente caratterizzato dalla lunga crisi economica e finanziaria che dal 2008 ha interessato il nostro Paese, provocando squilibri del sistema socioeconomico, di cui non si conoscono ancora del tutto le conseguenze.

Su di un simile contesto ha ulteriormente inciso l’emergenza epidemiologica che ha acuito le dinamiche in corso nell’ultimo decennio ed ha determinato una straordinaria pressione lavorativa rispetto alla quale i singoli professionisti hanno consumato un enorme sacrificio personale ed organizzativo. Lo squilibrio che ne è conseguito ha provocato diffusi disagi, talvolta, sfociati in situazioni di crisi.

La contabilità macroeconomica del 2020, primo anno dell’era pandemica, relativa alle “Attività professionali, scientifiche e tecniche”, indica che il valore aggiunto ha subito un vero e proprio crollo con un calo a due cifre pari a -12,5%. A parità di input di lavoro, dunque, le attività professionali, a dieci anni dalla crisi, producono mediamente molto meno. Si è verificato un vero e proprio depauperamento del comparto, soprattutto della sua capacità di generare valore aggiunto.

L’emergenza da COVID ha colpito in modo incisivo le fasce più deboli rappresentate dai giovani, dalle donne e dai professionisti meno organizzati che, pur non avendo alternative al lavoro professionale, sono rimasti in attività con scarse prospettive di guadagno, sopportando un enorme carico lavorativo e sociale e, almeno inizialmente, senza adeguate forme di sussidio economico. In un quadro di crisi generale, la condizione economica relativa dei soggetti strutturalmente più deboli è peggiorata in maniera molto più marcata delle fasce meglio posizionate, provocando così un significativo ampliamento dei divari esistenti. Il gap produttivo, inoltre, emerge con evidenza quando si osservano i modelli organizzativi delle singole professioni che in molti casi continuano a prediligere l’esercizio della professione in forma individuale e in studi professionali di piccole dimensioni.

I dati reddituali medi desunti dai redditi professionali dichiarati alle Casse di previdenza, come evidenziato da Adepp, sono in calo. In dieci anni hanno perso il 6,5% in termini nominali e il 14,5% in termini reali, cioè al netto dell’inflazione. I divari intergenerazionali e per genere così come quelli territoriali tra Nord e Sud sono molto ampi.

Per quanto concerne il ricorso al lavoro autonomo, in Italia si registra un calo di lavoratori indipendenti e un incremento dei lavoratori dipendenti, vi è però una controtendenza che riguarda i liberi professionisti che anziché diminuire in linea con il lavoro indipendente di cui sono una parte significativa, continuano a crescere a ritmi sostenuti tanto che la quota di professionisti sull’occupazione totale, in dieci anni, è passata dal 4,5% al 6,2%.

Con particolare riferimento all’analisi di dati specifici riguardanti la nostra categoria, dal 2008 al 2020, i Commercialisti iscritti all’albo sono aumentati del 10,5%, mentre quelli iscritti alle Casse sono aumentati del 25,1%.

Per la prima volta nel 2020 sono diminuiti gli iscritti nella sezione A dell’albo (-0,1%), mentre sono ancora in crescita a due cifre gli iscritti nella sezione B (+14%) che però non supera i 1.500 iscritti. Le Stp sono in grande crescita (+23,8% pari a 1.004). In generale, solo un Commercialista ogni cinque esercita la professione in forma associata o societaria, mentre la restante parte preferisce l’esercizio in forma individuale.

Il dato che più preoccupa la nostra Categoria è il costante calo dei praticanti e l’innalzamento dell’età media dei professionisti. I praticanti continuano a diminuire (-9,8%) e gli iscritti under-40 sono passati dal 30% del 2009 al 14% del 2019. Le donne, invece, sono aumentate passando dal 28% del 2009 al 33% del 2020. A differenza degli iscritti all’Albo che ha praticamente arrestato la sua crescita negli ultimi anni, prosegue l’aumento degli iscritti alle Casse di previdenza. Diversamente, la Cassa di previdenza dei Ragionieri mostra un decremento dei propri iscritti dovuto principalmente al pensionamento di Ragionieri commercialisti in parte compensato dall’iscrizione dei professionisti nella nuova veste degli esperti contabili che, evidentemente, però, risente del progressivo invecchiamento della popolazione italiana e della forte denatalità.

Allo stesso tempo, nella nostra categoria, preoccupa la predominanza di studi professionali di piccole dimensioni e la scarsa diffusione di modelli organizzativi in cui prevalga l’esercizio della professione in forma aggregata. Infatti, i dati più aggiornati ci dicono che il 61,3% dei Commercialisti esercita la professione in uno studio individuale e il 71,1% in uno studio che non supera i cinque addetti (tra professionisti, collaboratori, dipendenti e praticanti).

Il depauperamento del comparto, già ampiamente descritto rispetto alla diminuita capacità di generare valore aggiunto, lascia temere delle pericolose ripercussioni nel breve/medio periodo a causa della paventata chiusura di numerose piccole e medie aziende. Così, l’istituzione di strumenti welfare per chi svolge attività di natura autonoma, in particolare di tipo ordinistico, si rende non più eludibile.

Le forme di integrazione del reddito dei professionisti, altresì, dovrebbero essere accompagnate da misure di politica attiva, attraverso l’introduzione di servizi per l’orientamento nel mercato del lavoro e di promozione della formazione continua. La qualificazione e la riqualificazione professionale andrebbe sostenuta attraverso il finanziamento di piani di formazione concordati con gli Ordini professionali e finanziati tramite voucher formativi. Dovrebbe, parimenti, essere rilanciata l’istituzione di sportelli dedicati al lavoro autonomo, però, valorizzando il ruolo degli ordini e dei collegi professionali per l’istituzione in via riservata degli sportelli atti all’erogazione dei servizi in favore degli iscritti presso le loro articolazioni nazionali e territoriali.

Per altri versi, la crisi da Covid-19 ha posto chiaramente in evidenza l’iniquità di un sistema basato su rigide responsabilità in capo ai professionisti e agli intermediari abilitati tenuti all’esecuzione di una mole sproporzionata di adempimenti amministrativi con scadenze perentorie e conseguenze sanzionatorie insostenibili.

In una situazione al limite, i commercialisti hanno dovuto garantire la prosecuzione dell’attività professionali e l’esatta esecuzione di tutti gli adempimenti, sia ordinari sia dell’emergenza, con enorme aggravio di costi di organizzazione ed assunzione di rischi sproporzionati, senza che a questo facesse fronte una congrua remunerazione delle prestazioni professionali, anche a causa della crisi del tessuto produttivo, e senza che il Governo apprestate misure di tutela adeguate.

In tema di rilancio dell’attività professionale, segnali confortanti si registrano dai lavori parlamentari sulla regolamentazione dell’equo compenso che si reputa utile alla salvaguardia del lavoro professionale e, in particolare, dei giovani e dei professionisti che hanno una condizione reddituale più debole. L’istituto potrà contribuire alla inversione di tendenza in ordine al calo di valore aggiunto, pure agendo verso un riequilibrio dei livelli reddituali all’interno della categoria. Sotto quest’ultimo aspetto, appare dirimente intraprendere azioni combinate per la promozione delle aggregazioni tra professionisti, anche attraverso la previsione di agevolazioni fiscali. Nelle forme di “sodalizio” professionale sono, oggi, riposte le migliori aspettative di rilancio del comparto, all’insegna della diminuzione delle disparità geografiche, anagrafiche e di genere.

L’azione politica del CNDCEC, inoltre, è tesa ad ottenere l’introduzione di strumenti normativi che incentivino, anche tramite detassazione, le aggregazioni di professionisti, nonché l’avvio alla professione di giovani e donne, contrastando il calo di interesse al lavoro autonomo professionale. Parimenti auspicabile, quale misura di sostegno, l’equiparazione dei professionisti alle PMI per l’accesso agli incentivi ed ai crediti di imposta.

Per quanto concerne, invece, la crisi delle “vocazioni”, espressa dal calo dei tirocinanti, occorre spingere ulteriormente verso la valorizzazione delle funzioni e delle specialità dei commercialisti e degli esperti contabili. La diversificazione dell’attività professionale consente di incrementare le opportunità di business come, d’altronde, è dimostrabile in area lavoro. Oltre 24.000 commercialisti hanno scelto di specializzarsi in ambito lavoristico e svolgono con continuità attività di consulenza del lavoro. Le difficoltà di organizzazione e gestione del lavoro create alle imprese dall’emergenza epidemiologica possono rappresentare un’opportunità per quanti della categoria avranno scelto di intraprendere un percorso di specializzazione utile ad intercettare la nuova domanda di servizi.

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