L’ormai imminente recepimento della quarta direttiva antiriciclaggio (direttiva 2015/849/UE) rende indispensabili alcune riflessioni in merito allo stato dell’arte della disciplina in Italia, con particolare riguardo ai professionisti che ne sono destinatari. Questi ultimi hanno metabolizzato con fatica i provvedimenti normativi che fin dal 2006 hanno imposto loro obblighi di identificazione, registrazione e segnalazione divenuti ancora più onerosi con l’emanazione successiva del d.lgs. 231/2007.
In particolare, tali obblighi hanno reso indispensabile un ripensamento dell’attività degli studi professionali, rendendo necessaria l’adozione di vere e proprie procedure organizzative tese a formalizzare gli adempimenti, in modo tale da garantirne la “tracciabilità” in caso di ispezione da parte degli enti preposti ai controlli. Questi ultimi, negli anni, hanno intensificato l’attività di repressione dei reati di riciclaggio e finanziamento del terrorismo anche attraverso l’aumento delle attività di controllo del corretto adempimento degli obblighi imposti dal d.lgs. 231/2007 da parte di tutti i soggetti destinatari della normativa, compresi i professionisti.
Come più volte ribadito, gli esiti di tali attività di controllo hanno evidenziato che, nella gran parte dei casi, il problema all’interno degli studi professionali non è tanto la mancata evidenziazione di operazioni sospette all’autorità di vigilanza, quanto piuttosto l’inadempimento formale delle misure di adeguata verifica della clientela, conservazione e registrazione dei dati e delle informazioni raccolte. Pertanto, da tale dato è emersa, da un lato, la necessità di dialogare con le autorità preposte all’attuazione della normativa, nel tentativo di ottenere un alleggerimento degli adempimenti formali (puntando l’attenzione sulla collaborazione attiva dei professionisti nell’individuazione di eventuali operazioni sospette); e, dall’altro, l’esigenza di fornire a questi ultimi alcuni strumenti di ausilio nel complesso percorso di adeguamento alla disciplina.
È in questo senso che si è mossa la commissione di studi “Antiriciclaggio” del CNDCEC che, fin dal 2008, dopo aver preso atto della mancata emanazione del regolamento attuativo del d.lgs. 231/2007 in materia di adeguata verifica, ha emanato linee guida specifiche per la categoria dei Commercialisti, aggiornandole nel 2011. Nella medesima direzione ha agito la commissione nel 2015, licenziando il Manuale delle procedure operative per gli studi professionali, ove gli adempimenti sono declinati puntualmente nell’ambito di un vero e proprio modello organizzativo, da adottare in maniera diversificata a seconda delle dimensioni e della complessità del soggetto destinatario, secondo i criteri generali enunciati dalla normativa. Il Manuale, lungi dal voler introdurre ulteriori adempimenti, si limita a prendere atto di quanto disposto dall’art. 3 del d.lgs. 231/2007, che prescrive ai destinatari l’adozione di “idonei ed appropriati sistemi e procedure in materia di obblighi di adeguata verifica, di segnalazione di operazioni sospette, di conservazione dei documenti, di controllo interno, di valutazione e gestione del rischio”.
Le misure prescritte dal d.lgs. 231/2007 sono rivolte, peraltro, anche alla prevenzione dei reati di finanziamento del terrorismo, ancorché tale fenomeno sia stato tenuto originariamente in minore considerazione. Ciò è dipeso in parte dall’impianto della normativa antiriciclaggio, che non reca una definizione autonoma di “finanziamento del terrorismo”, limitandosi a rinviare al d.lgs. 109/2007, ed in parte dalla evidente difficoltà del mondo delle professioni ad approcciare una fattispecie così complessa ed apparentemente lontana dal normale perimetro delle attività svolte. Nondimeno, il crescendo dei noti eventi di matrice terroristica ha reso necessaria una nuova analisi degli adempimenti già individuati con riferimento al reato di riciclaggio, anche alla luce di quanto previsto dalle raccomandazioni GAFI e dalla quarta direttiva comunitaria. La consapevolezza del fenomeno del terrorismo e la concreta possibilità che qualsiasi realtà economica possa essere utilizzata come veicolo di approvvigionamento o di smistamento di somme per queste finalità illecite devono indurre il mondo delle professioni a ragionare sulle modalità con cui tutelare concretamente le forze economico-finanziarie sane. Sono queste le ragioni poste alla base dell’ultimo documento licenziato dalla Commissione, in cui l’attenzione è focalizzata sulla fattispecie del finanziamento al terrorismo e sulla peculiarità delle misure da predisporre per la sua prevenzione. La redazione di questo documento si è rivelata quanto mai opportuna alla luce del rapido susseguirsi di provvedimenti normativi aventi ad oggetto proprio il finanziamento del terrorismo: dalla legge 28 luglio 2016, n. 153, che tra le altre cose ha introdotto nel codice penale l’art. 270-quinquies.1 (Finanziamento di condotte con finalità di terrorismo), al Regolamento UE 2016/1675 della Commissione del 14 luglio 2016, per l’individuazione dei Paesi terzi con carenze strategiche nei rispettivi regimi di lotta contro il riciclaggio di denaro ed il finanziamento del terrorismo che pongono minacce significative al sistema finanziario dell’Unione. Da ultimo, la Commissione Europea ha recentemente adottato una proposta di direttiva – a parziale modifica della quarta – che introduce nuove disposizioni finalizzate anche a potenziare gli strumenti di contrasto al finanziamento del terrorismo, ad esempio attraverso l’individuazione di canali di trasferimento che sfuggono attualmente all’applicazione delle misure di adeguata verifica e di segnalazione di operazioni sospette: è sufficiente pensare ai rischi legati alle valute virtuali ed agli strumenti prepagati anonimi.
Muovendo dall’esame del contesto normativo, il recente lavoro della commissione di studio del CNDCEC persegue il duplice intento di informare il professionista e di integrare le indicazioni a suo tempo fornite per l’adeguata verifica in ragione della necessità di predisporre misure ad hoc per la prevenzione di questo riprovevole illecito.
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