La Legge di Bilancio per il 2017, ha introdotto nel nostro ordinamento la disciplina dei “piani individuali di risparmio” (PIR) con il fine ultimo di incentivare il trasferimento di flussi monetari dal risparmiatore non istituzionale a favore delle piccole e medie imprese. Alla legge la Fondazione nazionale dei commercialisti ha dedicato uno studio con esempi pratici di quantificazione dei vantaggi ad essa connessi.

I PIR rappresentano, dal lato del risparmiatore, una forma di investimento in grado di assicurare un certo rendimento, per quanto invece attiene le imprese, un’utile alternativa per garantire provviste finanziarie a quelle realtà aziendali desiderose di dare un impulso alla propria economia senza ricorrere al tradizionale finanziamento bancario.

Il panorama italiano, dal punto di vista finanziario, è da un considerevole numero di imprese sottocapitalizzate ovvero che più in generale versa in una situazione di squilibrio finanziario, dettato dalla dipendenza dal capitale di terzi di breve periodo per la copertura di investimenti durevoli, la cui liquidabilità è, al contrario, orientata al medio e lungo termine.

A ciò si aggiunga il sempre più complesso sistema creditizio, costantemente impegnato a ridefinire meccanismi di erogazione del credito e incentrato sull’attenzione ai rischi nella valutazione del rating finanziario delle imprese che ne ha, inevitabilmente, causato un sostanziale irrigidimento.

Se quindi è evidente il vantaggio conseguibile da parte delle imprese destinatarie, all’investitore è stato riconosciuto un importante incentivo di natura fiscale al verificarsi di determinate condizioni e requisiti, come riportato all’art. 1, commi da 100 a 114 della Legge di Bilancio per il 2017.

Dal punto di vista strutturale lo schema dei PIR ricalca quello di altri prodotti affini già collaudati in paesi come Francia e Regno Unito. Si tratta in pratica di veri e propri “contenitori”, che possono configurarsi attraverso diverse forme tecniche (OICR, fondo comune, gestione patrimoniale, contratto di assicurazione, deposito titoli), e contenere all’interno strumenti finanziari di varia natura (azioni, obbligazioni, ETF, depositi e conto correnti).
Per essere ritenuto conforme, un portafoglio PIR dovrà dunque investire almeno il 70% in strumenti finanziari “qualificati”, di cui una quota pari almeno al 30% (quindi il 21% dell’importo originario) in strumenti finanziari emessi da imprese non quotate nel FTSE MIB o in indici equivalenti di mercati regolamentati esteri. Il restante 30% potrà essere destinato, senza alcun vincolo, a strumenti finanziari non qualificati di imprese residenti negli Stati membri Ue o in Stati SEE, senza stabile organizzazione in Italia, purché venga garantito lo scambio di informazioni.

Con riferimento ai beneficiari, il PIR è dedicato in via esclusiva a privati risparmiatori residenti nel territorio italiano (senza limiti di età anche se minorenne); ogni persona fisica non può inoltre detenere più di un piano individuale di risparmio, neanche se in condivisione con altri soggetti.
L’importo destinato al PIR non può superare € 30.000 l’anno fino ad un valore complessivo di € 150.000, avendo riguardo, per ciascun anno solare, alla data di acquisto puntuale e a quella di cessione (o rimborso).

Ritornando al beneficio fiscale, l’agevolazione è attribuita nel rispetto dell’holding period, ovvero l’intervallo di tempo pari a 5 anni durante il quale gli investimenti che compongono il piano devono essere necessariamente mantenuti, a pena di decadenza dal beneficio. Ciò appare in assoluta sintonia con la ratio della norma volta a supportare l’economia reale e le piccole e medie imprese e quindi il fabbisogno finanziario di medio e lungo periodo.

Il rispetto dei predetti requisiti permette non solo la non imponibilità dei redditi da capitale e dei redditi diversi di natura finanziaria derivanti dagli investimenti effettuati in un PIR (che sarebbe del 26%), ma anche l’esonero dalla tassa di successione.
Fermo restando, quindi, i vantaggi di natura fiscale, che ne migliorano la performance anche rispetto a normali fondi comuni soggetti a tassazione, per una più attenta valutazione sulla convenienza dei piani individuali di risparmio, è necessario analizzare eventuali criticità legate principalmente ai costi delle commissioni di ingresso e di gestione ed altri oneri ad esso connessi.

Per concludere, ad oggi, gli investimenti nei Piani di Individuali di Risparmio rappresentano certamente uno strumento apprezzato sia al singolo risparmiatore che dalle PMI, se consideriamo gli oltre 10 miliardi incassati nel 2017. Di ciò ne è convinto lo stesso Governo che ha esteso le agevolazioni fiscali anche alle Casse di previdenza e ai fondi pensione fino al 5% del proprio attivo patrimoniale.

Importanti novità sono state, inoltre, introdotte dalla legge di Bilancio 2018 che ha incluso gli strumenti finanziari emessi dalle società immobiliari, stabilendo come sia possibile finanziare gli investimenti effettuati da soggetti Irpef ed Ires nel capitale sociale delle strat up innovative cumulativamente rispetto agli investimenti in strumenti finanziari, mediante i piani di risparmio, realizzati da persone fisiche al di fuori di attività commerciali, sono ricomprese tra gli investimenti PIR compliant anche le quote di prestiti di fondi di credito cartolarizzati e gli strumenti di peer to peer lending.

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