Gli ultimi in ordine di tempo a rendersi conto che non si poteva intervenire su un complesso di norme, qual è il Codice della crisi d’impresa sul quale si sta lavorando da anni, senza coinvolgere gli operatori del settore (sui quali quelle modifiche vanno a incidere) sono stati coloro che stavano componendo l’ultima Commissione Rordorf ancora implementandola successivamente.

Ed è per questo che il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili sta tuttora lavorando alla composizione e stesura degli indicatori da condividere con il ministero dello Sviluppo economico, consapevole della delicatezza del compito assegnatogli e con la certezza di farlo nell’interesse primario del sistema, ma anche delle imprese che non devono “subire” questo Codice, ma usarlo da riferimento e da scudo.

L’articolo 13, comma 2 del Codice della crisi e dell’insolvenza d’impresa ci assegna il compito di elaborare gli indici necessari al completamento del sistema dell’allerta, introdotto nell’ordinamento con la legge delega 155/2017.

In particolare, la norma prescrive: “Il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, tenuto conto delle migliori prassi nazionali e internazionali, elabora con cadenza almeno triennale, in riferimento a ogni tipologia di attività economica secondo le classificazioni Istat, gli indici di cui al comma i che, valutati unitariamente, fanno ragionevolmente presumere la sussistenza di uno stato di crisi dell’impresa (…). Gli indici elaborati sono approvati con decreto del ministero dello Sviluppo economico”.

Sempre il Codice della crisi all’art. 14 prevede che la segnalazione dello stato di crisi da parte dell’organo di controllo e del revisore debba essere effettuata solo in presenza di fondati indizi e sia motivata. Fondati indizi che, come da espressa previsione dell’articolo 2, lettera a), attengono alla manifestazione dell’inadeguatezza dei flussi di cassa prospetti ci a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate.

Va chiarito che non per tutti gli stadi di crisi ricorre l’obbligo di segnalazione, ma solo per quelli che presentano la rilevanza prevista dal comma 1 dell’articolo 13. Le altre situazioni potranno essere ancora gestite dall’organo amministrativo internamente all’impresa, senza il coinvolgimento dell’Ocri e senza l’obbligo di attivare una procedura concorsuale, e senza la presenza del professionista indipendente che attesti l’adeguatezza dei risultati degli indici in rapporto alla specificità dell’impresa previsti dall’ultimo comma dell’articolo 13.

Proprio il comma 1 dell’articolo 13 individua, infatti, il discrimen dell’obbligatorietà o meno della segnalazione nella incapacità dell’impresa di sostenere il proprio debito nei successivi sei mesi, oltre che nella presenza di ritardi nei pagamenti reiterati e significativi, anche sulla base di quanto previsto nell’articolo 24.

Si tratta di affermazioni schematiche e riassuntive di un cambio epocale di approccio della normativa alla crisi dell’impresa.

Vengono, infatti, codificati riferimenti specifici e puntuali che sembrano voler creare una sorta di “interruttore previsionale” che possa identificare lo stato o meno di crisi di una azienda. Il Consiglio nazionale che rappresento ha sempre cercato di far comprendere che un tale interruttore è impossibile da creare. Ed è così che non può esistere che per tutti gli stadi di crisi ricorra l’obbligo di segnalazione, con l’evidenza che ci sarà solo per quelli che presentano la rilevanza prevista dal comma 1 dell’articolo 13.

Così come non può esistere che in presenza di altri indizi “minori” questi non possano continuare a essere ancora gestiti dall’organo amministrativo interno all’impresa, senza coinvolgere l’Ocri e senza l’obbligo di attivare una procedura concorsuale; sarebbe, infatti, la fine del concetto di imprenditorialità che in un primo tempo la norma stessa voleva limitare al solo utilizzo della propria capacità patrimoniale (vecchia ipotesi di un articolo 3 poi scomparso).

Ecco che il segnale che deriva dall’applicazione degli indici di allerta che il Cndcec è stato chiamato a individuare costituisce un indizio che l’organo amministrativo, e a seguire l’organo di controllo, dovranno valutare unitamente a quanto previsto all’articolo 2.

Ben compreso questo “insieme” di elementi da considerare, il gruppo di lavoro del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, formato dal sottoscritto, delegato di area, e da Riccardo Ranalli, Alessandro Danovi, Alberto Quagli e Paolo Rinaldi, tenuto conto anche della dottrina in materia, ha verificato, attraverso specifici test condotti con Cerved, che l’applicazione di qualsiasi indice, comunque costruito, comporta inevitabilmente un certo numero di falsi segnali, sia positivi, in assenza di uno stato di crisi che presenti la rilevanza di cui al comma 1 dell’articolo 13, sia negativi, in termini di incapacità di intercettare uno stato di crisi rilevante.

Cerved e Innolva sono state essenziali nell’analizzare la serie storica dei bilanci dal 2011 fino alla ultima data disponibile, in tal modo si sono testati centinaia di “segnali” ipotizzati, focalizzando lo sforzo sulla riduzione dei falsi positivi, ampliando anche il numero degli indici in combinazione, e lo si è fatto distinguendo per settore, dimensione e anzianità delle imprese.

Il gruppo di lavoro, consapevole dei limiti dell’analisi previsionale, ha quindi elaborato gli indici ponendo estrema cura nell’evitare impatti sistemici generati da falsi positivi, ripromettendosi, al fine di assicurare una opportuna gradualità nell’introduzione del sistema dell’allerta, di ampliare la selezione alla prima periodica (e già prevista) revisione degli indici.

Gli imprenditori, i loro consulenti, gli organi di controllo e i revisori dovranno comunque tener conto di tali indici, e dovranno farlo conia periodicità trimestrale prevista indirettamente dall’articolo 24, considerandoli come meri indizi da avvalorare con la valutazione della sostenibilità del debito a sei mesi o la presenza di reiterati e significativi ritardi nei pagamenti.

Siamo convinti comunque che proprio per il buon esito di questa rivoluzione sia necessario ipotizzare una proroga anche di un solo anno dell’applicazione dell’impianto relativo alle procedure di allerta alle “piccole” lasciando volentieri la declinazione di questo limite al legislatore pur ricordando la presenza di altri riferimenti utili.

Tutto questo per i bilanci depositati al registro imprese ma anche per i “piccoli”, anche senza obbligo di redazione del bilancio, ma questa è un’altra storia dai più dimenticata.

Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore del 23 ottobre 2019

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