Lo strumento del distacco ha trovato nelle reti d’impresa il massimo favore da parte del legislatore che, modificando l’articolo 30 del D.Lgs. n. 276 del 2003, ha inserito, al comma 4-ter, un regime speciale, derogatorio, rispetto a quanto previsto per la generalità delle imprese.

Come noto, infatti, il distacco consiste in un atto di organizzazione del datore di lavoro – c.d. distaccante – che può assegnare un proprio dipendente, c.d. distaccato, presso un soggetto terzo, il c.d. distaccatario, affinché possa svolgervi, temporaneamente, la sua attività lavorativa, senza dar luogo ad un nuovo rapporto di dipendenza. Lo schema trilaterale trova la propria legittimazione nell’esercizio del potere direttivo della società distaccante, condizionatamente alla sussistenza di un interesse al distacco che, come specificato dalla giurisprudenza di legittimità, deve essere al contempo specifico, rilevante, concreto e persistente: nel momento in cui l’interesse del datore di lavoro dovesse venire meno, il distacco diventerebbe illegittimo. Nel corso dell’assegnazione lo schema della subordinazione resta inalterato e la titolarità del rapporto di lavoro resta dunque in capo al distaccante, variando unicamente il luogo della prestazione lavorativa ed il soggetto che impartisce le direttive.

Permane, inoltre, in capo al datore di lavoro il diritto a porre in essere ogni atto che comporti la modifica del rapporto di lavoro, il potere di recesso, il potere disciplinare o la facoltà di disporre un nuovo distacco, restando inoltre responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore. L’articolo 30 del D.Lgs. n. 276 del 2003 prevede poi il consenso del lavoratore interessato, laddove il distacco implichi un mutamento di mansioni, e la condizione che esso comporti un trasferimento ad una unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore è adibito debba avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive. La Corte di cassazione ed il Ministero del Lavoro hanno infine confermato la liceità del distacco parziale, consentendo al datore di lavoro di poter continuare a fruire delle prestazioni del lavoratore anche in costanza del distacco. Laddove i requisiti richiesti dalla normativa non fossero rispettati, il lavoratore può richiedere, ai sensi del comma 4-bis, l’accertamento dell’illegittimità del distacco e la costituzione del rapporto di lavoro con la società “distaccataria”.

Nel particolare caso delle reti d’impresa, l’utilizzo dello strumento del distacco è stata ulteriormente agevolata dalla previsione contenuta nel comma 4-ter che dispone: “Qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa che abbia validità ai sensi del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete, fatte salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall’articolo 2103 del codice civile”. Dunque uno dei due requisiti fondamentali e caratterizzanti il distacco (assieme alla temporaneità), ovvero l’interesse al distacco da parte del datore di lavoro distaccatario, non deve essere provato in tale circostanza, sorgendo automaticamente ed individuandosi nel contratto di rete. Pertanto, come chiarito dal Ministero del Lavoro, al fine di verificare la legittimità del distacco, il personale ispettivo dovrebbe limitarsi a verificare l’esistenza del contratto di rete, fermo restando che, laddove l’attività svolta nel corso del distacco non dovesse essere riconducibile all’attività della rete, l’interesse al distacco andrebbe comunque provato, applicandosi la disciplina generale.

Diversamente, nel caso di distacchi nei gruppi d’impresa, dovrebbe trovare integrale applicazione la disciplina generale, così come più volte sostenuto in passato dalla giurisprudenza della Suprema Corte e dallo stesso Ministero, dal momento che una deroga esplicita è prevista solo in presenza di reti di impresa, fattispecie, come noto, differente dai gruppi. Sul punto si segnala un recente interpello del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il n. 1/2016 del 20 gennaio 2016, secondo il quale, in caso di distacco tra imprese appartenenti al medesimo gruppo, l’interesse della società distaccante non deve essere provato, applicandosi la presunzione legale prevista per le reti d’impresa.

Ad avviso degli scriventi, sulla base della lettura della norma tale impostazione non può essere condivisa, non riconoscendo al disegno strategico unitario del gruppo ed alla redazione del bilancio consolidato valenza tale da applicare una disciplina specificamente dedicata al contratto di rete, mediante il quale “più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato, ed a tal fine si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme ed in ambiti predeterminati attinenti all’esercizio delle proprie imprese ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero ancora ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa”.

La disciplina del distacco nelle reti d’impresa deve poi esser tenuta distinta dal concetto di codatorialità nelle reti di impresa previsto dal medesimo comma 4-ter del D.Lgs. n. 276 del 2003, trattandosi di strumenti giuridici che, per espressa previsione legislativa, sono caratterizzati da differenti elementi identificativi.

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