Il decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 139 ha introdotto alcune significative novità nella normativa riguardante il bilancio d’esercizio contenuta nel codice civile. Alcune di esse potrebbero costituire, a seconda di come verranno interpretate, addirittura una “svolta epocale”: intendiamo riferirci in particolare alle conseguenze contabili dell’introduzione nell’ordinamento italiano del concetto di “costo ammortizzato”, riguardante, tra l’altro, i crediti ed i debiti esposti in bilancio.
L’art. 6, c. 8, lett. d) del decreto prevede che «i crediti e i debiti sono rilevati in bilancio secondo il criterio del costo ammortizzato, tenendo conto del fattore temporale e, per quanto riguarda i crediti, del valore di presumibile realizzo». La norma, se riferita ai crediti ed ai debiti “di regolamento”, ovvero quelli che misurano componenti positivi e negativi di reddito, contempla il fenomeno, ben noto in dottrina, degli interessi impliciti, riconoscibili in tutte le operazioni di compravendita di beni e servizi, regolate finanziariamente con condizioni difformi da quelle correnti di mercato. Anche se non frequenti nella prassi, le operazioni contabili di scorporo di tali interessi dai corrispondenti ricavi di vendita e costi d’acquisto di beni e servizi sono perfettamente in linea con i corretti canoni di ragioneria.
È bene ricordare che, secondo consolidate regole contabili, tali operazioni si limitano a rettificare i componenti reddituali misurati, mentre restano, ovviamente, al valor nominale i corrispondenti crediti e debiti misuratori: le nuove norme, al contrario, prevedono – almeno secondo quello che sembra il loro tenore letterale1 – la riduzione di tali valori numerari, sottraendo dal valor nominale le rettifiche apportate ai componenti reddituali misurati. In tal modo impoveriscono l’informativa di bilancio, che, prima della riforma, indicava l’importo lordo dell’operazione (costituito dal valore nominale del credito o del debito) e le due componenti reddituali, ovvero, sia il costo o il ricavo al netto degli interessi impliciti sia tali interessi e la parte di essi da riscontare negli esercizi successivi. Dopo la riforma, invece, mancherebbe in bilancio – secondo la suddetta interpretazione – sia l’indicazione del valor nominale del credito o del debito, ovvero la somma che la società dovrà effettivamente pagare o riscuotere, sia l’entità complessiva degli interessi impliciti e della parte di essi di competenza degli esercizi futuri. Infatti, iscrivendo in bilancio soltanto il credito al netto della parte di esso corrispondente agli interessi impliciti ed inserendo in conto economico soltanto la quota di tali interessi di competenza dell’esercizio, non risulterebbe da alcuna voce di bilancio l’ammontare degli interessi da imputare agli esercizi successivi.
Se la suddetta novità può provocare soltanto una peggiore informativa di bilancio, ben più rilevanti potrebbero essere le conseguenze dell’applicazione di tale procedura ai crediti e debiti di finanziamento: si pensi ad un fenomeno particolarmente diffuso all’interno dei gruppi societari, ovvero la presenza in bilancio di crediti e/o debiti per finanziamenti infruttiferi infragruppo. Se si ipotizzasse di rettificare tali crediti e debiti scontandoli ad un tasso d’interesse virtuale (considerato di mercato, o altro), si introdurrebbe per la prima volta nel sistema giuridico italiano riguardante il bilancio la possibilità (o l’obbligo?) d’inserire in bilancio – e quindi in contabilità generale – componenti di reddito figurativi (o d’opportunità). Ciò rappresenterebbe realmente una “rivoluzione”, suscettibile di conseguenze la cui entità non è dato al momento conoscere.
Inoltre, spesso detti finanziamenti non hanno una scadenza prefissata, per cui sembra improbabile poterli attualizzare. Non appare, poi, evidente quale sia la ragione di prevedere oneri o proventi finanziari figurativi su prestiti che sono realmente gratuiti e per i quali non verranno mai pagati o riscossi interessi.
Da un punto di vista strettamente contabile, aderendo alla suddetta interpretazione, sembrerebbe di dover registrare un debito infragruppo non oneroso al netto degli interessi figurativi, calcolati sull’importo previsto per l’estinzione del debito stesso, scontato per il periodo intercorrente fra la data in cui è sorto il debito e quello della prevista scadenza (ammesso che esista). La scrittura contabile si potrebbe così ipotizzare: al momento del sorgere del debito, “dare banca, avere debito”. Alla chiusura dell’esercizio, si dovrebbe registrare un importo dare del debito, del quale però non si comprende quale possa essere la contropartita avere. Nel caso in cui si iscrivesse un componente positivo di reddito (considerato di competenza dell’esercizio), si dovrebbero inserire negli esercizi successivi degli interessi passivi figurativi con la scrittura “dare interessi passivi, avere debito”, sino a concorrenza del valore nominale. La soluzione non sembra condivisibile, trattandosi in ogni caso di componenti figurativi.
di Gianfranco Capodaglio e Vanina Dangarska
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