Le origini della professione e il suo assetto attuale, con una sottolineatura forte della centralità della deontologia. Si è parlato di questi temi nell’incontro “Il rispetto pretende rispetto”, svoltosi nei giorni scorsi ad Ancona presso l’Università Politecnica delle Marche. L’evento, organizzato dall’ateneo con il Consiglio nazionale dei commercialisti, dedicato agli iscritti al corso di tecnica professionale della laurea magistrale in Economia e diritto d’impresa, è solo l’ultima in ordine di tempo di una serie di iniziative realizzate presso diverse facoltà italiane dallo stesso Consiglio nazionale della categoria per avvicinare i laureandi alla professione. Altri appuntamenti si terranno nei prossimi mesi, a cominciare da un corso articolato in dieci lezioni in programma a breve presso la Luiss “Guido Carli” di Roma.

“Stiamo girando l’Italia per incontrare il più ampio numero possibile di giovani”, spiega  Giorgio Luchetta, il Consigliere nazionale della categoria delegato, con Francesco Muraca, alla deontologia, “partendo da un presupposto per noi imprescindibile: deontologia e etica sono il punto di riferimento di ogni ragionamento sul nostro modo di intendere la professione. Per questo diciamo “il rispetto pretende rispetto”. Perché tanto più i commercialisti rispettano i principi deontologici posti alla base dello svolgimento della loro attività, tanto più sono in grado di chiedere il rispetto della collettività. La serietà genera credibilità e affidabilità”.

Negli incontri con studenti e mondo accademico, prosegue Luchetta, “ribadiamo sempre che il Codice deontologico è il nostro Vangelo”. “Le peculiari caratteristiche sociali dei commercialisti”, spiega ancora Luchetta, “ci impongono l’obbligo-dovere di rispettare il nostro codice comportamentale, per impedire di ledere la dignità o gli interessi di chi è oggetto del nostro operato”. Dalla violazione di queste regole discenderebbe, afferma il consigliere nazionale “un danno anche alla collettività degli esercenti la professione, in termini di perdita di credibilità pubblica”.

Luchetta ricorda come “l’art. 5 del Codice deontologico della professione stabilisce espressamente che “il professionista ha il dovere e la responsabilità di agire nell’interesse pubblico al corretto esercizio della professione” e che “soltanto nel rispetto di tale interesse egli potrà soddisfare le necessità del proprio cliente”. Il dovere di esercitare correttamente la professione “rivela dunque l’esigenza, da parte della professione, di garantire non solo l’interesse particolare, come ad esempio quello del cliente diretto ad ottenere la prestazione professionale, ma anche di tutelarne uno più ampio, connesso alla crescita e allo sviluppo della società intera”.

In questo senso per Luchetta “la collettività fa affidamento sulla nostra categoria e ciò pone a nostro carico una responsabilità di interesse pubblico che non dobbiamo e non possiamo tradire”.  A fronte di questo impegno, però, “ci aspettiamo una maggiore considerazione: troppo spesso i commercialisti non sono tenuti nella dovuta attenzione”

Una situazione che “penalizza soprattutto i neo professionisti, cioè quei giovani che dopo un lunghissimo percorso fatto di laurea, tirocinio, e abilitazione, si presentano sul mercato del lavoro con tante legittime aspettative destinate, nella maggior parte dei casi, a rimanere sogni irrealizzabili”. Sono gli “ultimi arrivati”, ancora privi di adeguata reputazione professionale. Con un basso potere contrattuale si trovano a dover accettare gli incarichi meno appetibili e remunerati, assumendo funzioni che, in relazione alla loro delicatezza e complessità, necessiterebbero probabilmente di profili professionali dotati di maggiore esperienza”.

Per tutti questi motivi sono proprio i giovani il target principale dell’attività di sensibilizzazione su etica e deontologia messa in campo dal Consiglio nazionale. “A loro”, conclude Luchetta, “vanno spiegati potenzialità e responsabilità insiti nello svolgimento della professione e a loro vanno forniti gli strumenti necessari per difendersi in un mercato del lavoro davvero troppo ostico”.

 

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