La prudenza nelle valutazioni aziendali” è il titolo del convegno svoltosi oggi a Roma presso la Sala Matteotti della Camera dei deputati, in Piazza del Parlamento 19. All’evento, promosso dal Consiglio nazionale dei commercialisti, hanno preso parte, assieme al presidente nazionale della categoria Elbano de Nuccio, l’Onorevole Chiara Tenerini, capogruppo di Forza Italia in Commissione lavoro alla Camera, Tommaso Miele, Presidente aggiunto della Corte dei conti, Sandro Raimondi, procuratore della Repubblica di Trento, Giovanni Barbara, della Libera università mediterranea “Giuseppe Degennaro” e il professore Edgardo Ricciardello, dell’Università Alma mater di Bologna.

La prudenza valutativa è un principio fondamentale che governa la contabilità aziendale e la formazione dei bilanci al fine di consentire a soci, terzi creditori e mercati finanziari di essere considerati accurati, affidabili e degni di fiducia. Attraverso la prudenza valutativa, i bilanci rappresentano in modo veritiero profitti e perdite e più in generale la situazione finanziaria e la performance aziendale, evitando di sovrastimare componenti positivi e sottostimare componenti negativi.

“È bene chiarire – ha affermato de Nuccio nella sua relazione – che non esistono, di per sé, valutazioni prudenti. Esistono valutazioni “fatte bene” o valutazioni “fatte male”. Una valutazione è fatta bene quando segue una logica razionale per la sua determinazione, adottando assunzioni concettualmente accettabili e producendo un valore coerente sotto forma di metrica monetaria che segue un processo di stima corretto”.

“Come chiarito dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di cassazione n. 22474 del 31 maggio 2016 – ha proseguito – il reato di falso valutativo, pur incentrato su stime e giudizi soggettivi, si configura laddove tali valutazioni siano effettuate in maniera irragionevole e tale da alterare sostanzialmente la rappresentazione della situazione patrimoniale, economica o finanziaria della società”.

Per il presidente dei Commercialisti “si può parlare di una responsabilità penale solo quando il grado di cautela richiesto dalla prassi contabile agli amministratori non solo non è amministrativamente presente, ma è volutamente assente”.

 

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